lunedì 13 agosto 2012

Papà Diegone (prima parte)




Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini


Genere: real person slash

WARNING:  PG13 per slash!

Tutto ciò si consideri frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro. 

PS: non so assolutamente scrivere rap, abbiate pietà! xD



Michele era fermo ad un semaforo rosso ma non c'erano automobili in vista su nessuna delle altre immissioni. Solo lui, il buio dell'una di notte, il silenzio di una Molfetta assopita e quella luce rossa stemperata da quelle gialle di altri lampioni più distanti.
“Un'altra di quelle attese completamente inutili.” si disse in mente, tentato di segare il rosso.
Ma che fretta aveva, in fin dei conti? Non stava andando da nessuna parte, non aveva neanche una meta.
Era solo che aveva dato buca agli amici e non riusciva a dormire, né a scrivere, né a spegnere il cervello davanti a qualche programma osceno alla televisione, né tantomeno a, chi lo sa, disegnare, che era una vita che non lo faceva. Ma c'era qualcosa, un vuoto, un bisogno indefinibile, che continuava a renderlo irrequieto e non lo faceva concentrare su nulla. Quindi aveva preso la macchina e s'era messo a girare a caso in quella che certo non era una metropoli ma che era la cittadina in cui era nato e cresciuto - prima di emigrare come tutti al Nord, ovviamente, anche se per poco - e che sembrava ispirarlo molto più di una Milano qualsiasi, già ben prosciugata da altra gente, in vari altri modi.
Gli sembrò di vedere, con la coda dell’occhio, una figura sottile sul marciapiedi di fianco: una figura familiare che, quando si voltò a guardare, non c'era più; eppure il suo cervello l'aveva registrata perfettamente. I suoi occhi, soprattutto. Nella sua mente la sua voce.
Possibile che quel vuoto che sentiva nel petto fosse provocato da una persona che conosceva ancora così poco? E' vero, qualcosa era scattato immediatamente, fra loro, ma questo non giustificava quel tipo di mancanza, quasi morbosa...
Il cellulare aveva preso a vibrare nella sua tasca. Probabilmente stava anche suonando ma nel frastuono della musica a palla nel locale era impossibile stabilirlo. Poi era pure abbastanza ubriaco, il che peggiorava le cose, ma a tentoni e cercando di non rovesciare il drink che reggeva nell'altra mano, Diego afferrò il telefono e diede uno sguardo allo schermo.
Chiamata in entrata: Capa.
Gli rispose.
“Un attimo solo che esco dall'Inferno, honey!” urlò con la bocca impastata dal sesto drink facendosi largo a spallate fra la calca del sabato sera da Giancarlo.
Riemerse nell'aria frizzante del lungo fiume, allontanandosi il più possibile dal rumore. Un passo in più e sarebbe finito in acqua ma pareva non importargli nemmeno, sbronzo com'era.
“Ma porca miseria. Sei sempre da qualche parte a ubriacarti?” domandò Michele dall'altro capo del telefono, ridacchiando. “Il fegato ti verrà fuori da ogni orifizio!”
“Non sono ubriaco, non troppo almeno... il tanto da dimenticare alcune cose… imbarazzanti... tu, piuttosto! Che cazzo ci fai in assoluto silenzio? E' sabato notte!”
“E' successa una roba strana. Sono fermo ad un incrocio nel nulla, comunque.”
“A fare?”
“A riflettere.”
“Su che?”
“Prima la roba strana! Mi è sembrato di vederti, un attimo fa, sul marciapiede di fianco a me.”
“Inquietante. Tipo un fantasma? Fammi controllare se sono ancora vivo, che qui non si sa mai...”
“Credo che tu lo sia.”
“Come mai questa cosa? Ti manca papà Diegone?”
“Può darsi, non lo so.”
“La risposta giusta era: sì, mi manchi tanto, amico!”
“Sì, mi manchi tanto, amico!”
“No, ora non vale più, che cazzo.”
“Comunque riflettevo proprio su questo: che mi manchi un po' più del decente.”
“Oh!” esclamò Diego, un sorriso comparve e scomparve sulle sue labbra. “E' tanto strano, vero?” sospirò.
“Cioè, aspetta, non prenderti male ora... è normale sentire la mancanza di un amico...”
“No, ma comunque è quello che mi dicevo anche io prima...”
“Cioè?”
“Cioè che è strano, perché ci conosciamo da così poco tempo, eppure…”
“Però ci sentiamo tutti i giorni da quando abbiamo messo insieme Il mio gatto!”
“Non lo so, il problema è che ho proprio voglia di rivederti! Non mi basta sentirti…”
“Era questa la cosa imbarazzante da dimenticare?”
“Mh. Già.” si schiarì la voce. “Forse sono un po' gay per te, Michè! Spiegherebbe tutto, no?”
Michele sorrise. “E allora mi sa che anche io sono un po' gay per te, Diegone.”
“Vuol dire che la prossima volta ci facciamo una bella scopata? Così, per allentare la tensione?”
“Ovviamente. Era questo l'intento della telefonata, cosa credi.”
“Tu non mi ami, allora... vuoi solo il mio corpo!”
“Merda, mi hai scoperto. E' già finita, quindi?”
“Uhm... mi prendo qualche giorno per decidere.”
“D'accordo... aspetterò trepidante il verdetto.”
Quando riattaccò il telefono, Michele era perplesso ma con un sorriso enorme sulla faccia. Si rigirò il cellulare nella mano qualche secondo prima di gettarlo sul sedile di fianco.
“Insomma, non mi aspettavo una conversazione di questo tipo.” pensò. “Michè, non vorrai mica imbarcarti in un'altra di quelle attese completamente inutili, vero?” aggiunse. Eppure non voleva convincersi del tutto che fosse solo l'alcol a parlare per voce di Diego. Voleva, o forse sperava, che quella specie di attrazione fosse reciproca, perché c'era qualcosa, lo sentiva chiaramente... una scintilla, una reazione chimica, qualcosa che creava fuochi d'artificio quando erano insieme. Aveva avuto poco tempo per appurarlo seriamente, ma Diego poteva essere pure una grandissima spalla, per lui... erano già decisamente affiatati, senza quasi conoscersi, e Diego aveva quella ironia marcia e un po' surreale che gli piaceva tanto; era in grado di star dietro ai suoi deliri, il che non è poco; gli balenò persino in mente il pensiero di condividere il palco durante un tour... condividere un tour, fianco a fianco… insieme sul lavoro e nella vita: voleva fare di Diego una piccola, bastarda e scurrile Musa.
Poi tornò alla realtà.
La sua testa stava correndo decisamente troppo.
“Ok, calmo Michele, stai diventando troppo sentimentale. Mi fai quasi schifo, non è da te.” disse ad alta voce, battendo un paio di colpi con le mani sul volante per sottolineare con decisione il concetto. “E invece è proprio da te.” Aggiunse, girando la chiave e mettendo in moto l'auto, staccandosi dal marciapiede al quale aveva accostato per risistemarsi di fronte allo stesso semaforo di prima, tornato rosso. Sospirò. “Stavamo solo scherzando un po’.” Si ripeté in mente un paio di volte.
Il suo cellulare iniziò a squillare e vibrando finì sul tappetino. Michele si allungò a recuperarlo tastando a caso il fondo dell'auto per poi portarselo all'orecchio.
“Pronto?”
“Quasi. Stavo pensando...” era di nuovo Diego. “se tipo vengo a fare le mie due settimane di ferie giù da te, mi porti al mare?”
Michele sbuffò. “Come sei banale. E' facile venire in Puglia per il mare.”
“No, aspetta. Io vengo in Puglia per te. Però se vuoi anche portarmi al mare...”
Michele deglutì. “Certo che ti porto al mare.”
“Ok, deciso allora. Ci vediamo fra un paio di giorni!”
“Va bene.” si disse. “Va bene.”
Michele cercò di mantenersi freddo e distaccato di fronte a quella notizia, ma più secondi di rosso trascorrevano, più perdeva la calma.
“Papà Diegone ha messo in discussione la mia convinzione
e io mi stresso, alla fine è successo: sono confuso sul sesso!
Sto sudando freddo nell'attesa di rivederlo,
di poter capire, sentire, toccare, assaggiare,
penetrargli l'anima, il cervello, il cuore e, sì, anche quello
perché l'amore è ovvio passa pure per il pisello,
c'è poco da fare! Non mi vedrà comporre rime da carie
e il bello di scopare un maschio è che a lui non frega un cazzo!
Anche se ora dubito, ho fatto subito,
ho il cuore a mille e il fiato corto, che confusione,
sarà perché ti amo? E' tragico, ovvio che mi agito
lui è soltanto un buon amico, cosa gli dico?
Ti porto in riva al mare, sai, ti voglio sposare,
voglio una vita insieme non due misere settimane?
Stai andando in panico secondo metrica, Capa:
la situazione è già parecchio critica. Scappa!!!”
E finalmente scattò il verde; Michele partì in sgommata, come se volesse davvero scappare da tutte quelle nuove consapevolezze che aveva acquisito ad un fottuto semaforo rosso in mezzo al niente in una notte qualunque in cui non aveva concluso nulla. Ma non le poteva seminare, era impossibile, ormai gli toccava tenersele.

Riaprì gli occhi su una catasta di bottiglie di birra vuote, riverse al suolo. Se l’era scolate tutte da solo prima di addormentarsi sul divano, la mano ancora chiusa attorno al cellulare, che aveva tenuto stretto tutta la notte. Per un attimo sperò di aver sognato tutto, poi sul cellulare trovò un SMS di Diego: “Arrivo previsto a Molfettown, ore 21:57 di domani. Mi faccio dodici ore di InterCity solo per te: l'avresti mai detto? Merito una ricompensa! :-)” Sulla faccia di Michele si stampò un ghigno fra il malizioso e il perverso, poi tornò in sé e sbiancò.
Shit just got real.
“Mamma. Sì... sì, sto mangiando. Asc... no, va be' se vuoi fare le orecchiett... sì, poss... fammi arrivare al punto, ti prego?” si schiarì la voce. “Avrò un ospite per qualche settimana e bla bla non ho fatto il bucato. Posso passare a prendermi delle lenzuola? N... no, non mi sono fidanzato di nuovo, è un amico del Nord. Non sono ancora mai stato con un uomo, ma se anche fosse? Che c'entra che gli altri li faccio dormire sul pavimento?! No... non lo so. Sì, forse è una persona che mi piace... il figlio muto, la mamma l’intende, va bene...” sbuffò. “Le... strascenète con i cim d rep gliele faccio io, non preoccupart... sì, lo renderò edotto di tutta la pugliesità della Puglia. E… anche della molfettezza di Molfetta... Insomma, 'ste lenzuola? V... Va bene, grazie. Passo a prenderle nel pomeriggio, insieme alle orecchiette. Vaaa bene! Ciao Mà. Ciao.”
Chiuse il telefono ma continuò a fissarlo un attimo. Provò a guardarsi dall'esterno e si sentì patetico all'inverosimile, ma decise che aveva troppe cose da sistemare per perdere tempo autodenigrandosi. Ci avrebbe pensato poi, a tempo debito.
Ripulì da cima a fondo tutta la casa, action figure per action figure, modellino per modellino. Fece sparire qualche pila di fumetti accatastata in giro, abbandonata lì da mesi, si prese persino un attimo per rendere gradevole qualche angolo che aveva trascurato procrastinando per anni e alla fine la sua casa non era mai stata così profumata e bella. Certo, sembrava ancora una fumetteria barra sala giochi barra discoteca, ma per lo meno lo rispecchiava del tutto.
In fondo quello era il suo regno. Quando non era ad urlare su un palco, era solito essere ancora un po' schivo e asociale come un tempo nonostante tutti cercassero, a volte fastidiosamente, di cavarlo fuori dal suo buco un giorno sì e l'altro pure.
Quando ebbe finito, tolse le lenzuola sporche dal suo due piazze e tirò fuori quelle che la madre gli aveva dato in una scatola, assieme alle orecchiette fatte in casa.
“Cristo, mamma... le lenzuola della prima notte!” imprecò fra i denti. Poi ci rise su, immaginando quell'ometto tatuato e piercingato con lo sguardo truce da tossico e i capelli gellati avvolto da pizzi, merletti e ricami. “Direttamente dal corredo di mammà!” aggiunse annusandone l'odore fresco di bucato mentre le stendeva sul materasso.
“Bene. Sono stato una brava donna di casa. Domani faccio la spesa e posso dichiararmi pronto.” si incoraggiò.

Pronto un cazzo. Era in totale panico.

Panico
Panico
Panico

“Ehi!” improvvisamente a corto di parole, al centro della stazione di Molfetta, “ehi” fu tutto quello che Michele riuscii a dire quando vide Diego scendere dal treno - con appena un’ora e tre quarti di ritardo - e andargli incontro con un bellissimo sorriso in faccia: chitarra in spalla, borsone alla mano.
“Ehi!” gli rispose ridacchiando l’altro, avvicinandosi a lui, abbracciandolo e dandogli una piccola pacca sulla schiena.
“Michele chiama Caparezza, Caparezza vieni in mio soccorso!” pensò Michele, arrossendo fino alla punta delle orecchie.
“Sei sopravvissuto a quello scassone di treno? Hai la mia stima!” disse poi, sorridendo alle proprie scarpe, e così capì che non riusciva neanche più a guardarlo in faccia.
“Sì, ma ho avuto il tempo per scrivere una canzone, non è andata male. Tu piuttosto hai dovuto aspettare due ore in stazione…”
Michele alzò le spalle con un sorrisetto. In realtà erano due giorni che lo aspettava, o una vita intera, il posto in cui lo faceva gli importava poco.
“Hai mangiato qualcosa?” gli chiese, e lui annuì. “Sarai da buttare. Ti porto subito a casa.” aggiunse, togliendogli il borsone di mano.
“Ci beviamo una birra a letto?” domandò Diego, stiracchiandosi un po’.

A casa, Michele afferrò due birre, stappandole con la prima cosa che gli capitò sotto mano – una forchetta – ed entrò nello Studio Sunny Cola, la sua camera. Faceva già piuttosto caldo quell’estate e trovò l’amico con indosso solo un paio di boxer sdraiato sul letto ad aspettarlo, la schiena appoggiata alla testiera del letto mentre guardava divertito pizzi, merletti e ricami delle lenzuola.
Accidenti se era bello. Michele sentì che il sangue aveva lasciato il cervello per andare altrove.
“Sì, quelle sono di mia madre, non farci troppo caso.” ridacchiò porgendogli la bottiglia. Diego la prese, strofinando appena le sue dita contro quelle dell’amico.
“Non vieni a letto?”
Michele iniziò a balbettare.
“V-veramente io dormo sul divano, ti tengo c-compagnia solo per una birra poi t-ti lascio dormire.”
Diego strinse le labbra e fece cenno di no con la testa.
“Non mi pare che fossero questi i patti!” buttò giù qualche sorso della sua birra col disappunto ancora sul viso.
“Cioè, tu… eri serio l’altra sera?”
“Perché, tu no?” sembrò deluso. “Io lo reggo bene l’alcol, non parlo mai a sproposito da sbronzo.” Arrossì appena. Non era vero: parlava spesso a sproposito da sbronzo, ma non quella volta.
Michele scrollò le spalle e abbassò lo sguardo. Caparezza prese il sopravvento, con la sua cruda onestà. “Cazzo, sì, io ero serio. Mi piaci un casino e in modi piuttosto inopportuni, è inutile che ci giri ancora intorno… me la farei volentieri una scopata con te.”
“Alla nostra, allora.” fece Diego soddisfatto, porgendogli la sua bottiglia di birra per un brindisi; Michele sospirò colpendola piano con la propria. Entrambi ripresero a bere, guardandosi negli occhi. Ora che la cosa era stata confermata, c’era molto meno imbarazzo. Quello che non avevano espresso a parole, però, era che dietro quell’attrazione c’era qualcosa di più.
“Possiamo anche non scopare stanotte ma non se ne parla che dormi sul divano.” aggiunse poi Diego battendo la mano sul posto nel letto di fianco al suo. Michele annuì, con un grosso sorriso.
Le lenzuola della prima notte forse non erano poi così inadeguate: quella sarebbe stata la prima notte in cui avrebbero diviso il letto, la prima di tantissime altre, che c’entrasse il sesso oppure no.
La prima notte, comunque, dormirono solamente, ma ad accompagnarli verso il sonno furono altre quattro birre, chiacchiere, flirt, risatine e baci, dapprima cauti, poi appassionati e virili, poi dolci. Si addormentarono labbra sulle labbra, abbracciati. Pelle contro pelle.
“Sono di nuovo innamorato.” fu l’ultima cosa che si dissero, ognuno nella propria testa.

3 commenti:

  1. Postare un commento!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Chissà se sarà il primo perché temo che il mio sarà così lungo che alex g mi fotterà! Ho amato questa storia, perché chiamarla fic o fanfiction mi sembra un tantino inappropriato, forse perché le fanfic di solito non sono così potenti, così profonde e azzeccate. Finita questa premessa.... ok, ‘nsomma ho iniziato a leggere questa storia con purezza, perché non sapevo cosa aspettarmi, poteva davvero essere una storiella di quelle stra-scontate che non ti lasciano niente, poteva essere scritta male, brutta, deludermi. A sentire Anna, lei dice che non sa scrivere, le premesse c’erano. Cmq non le ho dato retta e ho iniziato a leggere tranquilla. Ma già dalle prime righe ho capito che ero persa, sì... praticamente sono precipitata nell’auto di Michele, nell’anima di Michele, tipo come in trance. Il salto poi tra un’anima e l’altra, tra una regione e l’altra, si fa sentire, è bello tosto. Infatti all’inizio non si capisce ma poi ben presto sì, e l’ho trovato un escamotage stilistico fantastico che sicuro ti fregherò! :P insomma mi sono ritrovata invischiata in questo dialogo serrato che spiega, straborda, esce fuori, arriva subito e tutto insieme. Per un attimo mi ha travolto ma poi come un’onda che prima ti bagna e poi si ritira, è tutto tornato normale. Perché poi il bello è che concettualmente ci sta tutto, è realistico. La confusione di Michele, il suo girovagare di notte mi ha ricordato quei film underground sul tipo di Trainspotting e la situazione Torinese, con Diego bevuto, ma poi perché beve? Evidentemente gli manca qualcosa pure a lui. Infatti è così. E poi si trovano, ma prima c’è quel capolavoro del pezzo rap, che mi ha steso. Confuso sul sesso, non ha fatto qualche anno dopo ha fatto le dimensioni del mio caos.... E poi non pariamo del dialogo madre-figlio, qui ti sei davvero superata, brava che hai sfruttato le tue conoscenze pugliesi facendo sorridere ma rendendo il personaggio Michele più persona, meno futura star o quasi star. E poi fintamente arriva la parte romantica ma, attenzione, non romantica come ci rompono i marroni chilometri di film e di libri ecc, no. Romantica come due persone normalissime che si piacciono e finiscono a letto insieme senza forzature, con una naturalezza e una scelta linguistica che mi esalta (serve precisarlo?) in maniera esagerata. Quell’ometto tatuato e piercingato con lo sguardo truce da tossico e i capelli gellati avvolto da pizzi, merletti e ricami, ci sta da dio! (continua al prossimo capitolo....)

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  2. il verso "e il bello di scopare un maschio è che a lui non frega un cazzo" mi ha fatto dubitare un attimo che questa fanfiction non sia stata scritta davvero da caparezza hahahahahahaha mi fa troppo sorridere questa storia! grazie mille per averla scritta!

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