domenica 12 agosto 2012

Porto Selvaggio, la luna, eccetera eccetera








Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini

Genere: real person slash


WARNING:  NC17 per scene di sesso

Tutto ciò si consideri frutto della fantasia e del talento dell'autore. Non c'è niente di reale né è a scopo di lucro.









Nessuna auto, nessun motorino, nemmeno una bici, solo a piedi si può arrivare a Porto selvaggio, una lingua di terra, uno scherzo della natura faunistica, un posto da sogno di giorno, depredata da turisti desiderosi di fare tuffi tra le acque cristalline di quel meraviglioso mare salentino. E alle spalle del mare aperto, un fantastico specchio d’acqua, una piscina naturale di acque termali, dove sperimentare sulla propria pelle Laguna blu.
Tutti quelli che si sono recati almeno una volta a Porto Selvaggio avranno pensato di certo a che posticino romantico è, sarebbe, andandoci con la persona giusta, magari al riparo da occhi indiscreti.
E dopo tanto tempo, rimandi e situazioni contrastanti, Michele ha messo tutto da parte ed è partito con la sua anonima utilitaria e l’amico al suo fianco. Sono partiti da Molfetta alle sette e venticinque di sera e nel Salento ci sono arrivati quasi due ore più tardi. Dopo aver cenato a Torre Lapillo, due linguine all’astice ciascuno e birra, abbinamento poco ortodosso, Diego e vino locale Michele, si sono spostati fino a giungere nei pressi dell’entrata. Ovviamente chiusa dato l’orario. Sono le undici di sera
“E ora che si fa?” Michele allarga le braccia mentre Diego si morde il piercing oscillando la testa. Tutto quel girovagare e il posto così bello, tanto decantato dall’amico è chiuso?
“Cazzo è un cancello mica il muro di Alcatraz” butta fuori una boccata di fumo. La sigaretta finisce in terra, alla faccia del luogo protetto. Michele lo osserva contrariato e confuso liberarsi del tascapane in terra e guardarsi attorno per cercare un appiglio.
“Non ti vorrai arrampicare su questo muro? Rischi solo di farti male!”
“Ma no, sei troppo ligio. Lasciati andare. Relax, don’t do it
“Ma sì certo, è tutto normale” blatera Michele sempre più nervoso. “Se adesso viene qualcuno? Magari un custode o le guardie, e mi riconoscono?”
Ma Diego non lo sta a sentire per niente. Ha già trovato una piccola cavità nella roccia dove mettere il piede ed improvvisare una scalata da vero arrampicatore. Piccolo e agile com’è ci mette pochi secondi ad arrivare in alto. A cavalcioni sul muro fa un sorrisetto al suo amico rimasto dabbasso.
“Allora? Ti tiro una corda?”
“Tirami le trecce” si sente rispondere dalla vocina nasale.
“Attaccati alla mia gamba” gli fa Diego cercando di sporgersi ma Michele non ci pensa proprio. Teme che se si aggrappasse alla sua gamba lo farebbe cadere e finirebbero entrambi col sedere per terra e tanti lividi. Prima di provare a salire, si ricorda del tascapane e glielo lancia.
Michele si dà una spinta di reni e siccome è un gigante buono, arriva prima del previsto con le mani sulla cima del muro. Diego lo afferra per le spalle e un attimo dopo sono tutti e due a cavallo del muro uno di fronte all’altro.
“Ora sembriamo davvero due coglioni perfetti, sai?” Michele lo dice scosso dal fiatone per lo sforzo. È sudato e la folta chioma ne risente. Diego scoppia a ridere in maniera birichina e impertinente. Come se lui fosse un ragazzetto agile che salta per i tetti di notte di professione e l’amico il matusa che mal si adatta a gesti anticonvenzionali.
“Vai ora, buttati, visto che sei tanto spericolato”
Diego guarda verso il basso: “Saranno almeno tre metri”
“Già, e che facciamo, restiamo qui a guardare il panorama? Diego dobbiamo muoverci prima che ci becchino”
“Ci provo”
Ma Michele lo interrompe: “Non lo fare, ti rompi l’osso del collo o una gamba. Fai provare a me, ho un’idea”
“Tipo? Chiami un tuo supereroe che ci viene a salvare?”
Scocciato Michele non lo sta a sentire nemmeno. Si volta dalla parte del mare, ancora tanto lontano e compie un salto degno di un felino. Diego lo guarda crollare pesantemente al suolo. Lo stridere della ghiaia, il rumore del vento.
“Tutto ok sotto?” grida però con la voce ridotta al minimo. Michele ha le gambe doloranti ma, tutto sommato, pensa che non deve aver rotto alcun osso dunque è andata più che bene.
“Sto bene ora però tu fa attenzione. Girati su te stesso, resta con le gambe a penzoloni e poi mettile sulle mie spalle ok?”
Diego sorridendo esegue. I piedi cercano le spalle dove appoggiarsi ma le gambe non troppo lunghe non collaborano. Però si butta crollando malamente addosso a Michele che lo prende al volo manco fosse un pacco! Si ritrovano sul selciato rotolanti e claudicanti.
“Sei piccoletto ma pesi, cazzo se pesi!” si lamenta il pugliese. Diego, tra le braccia dell’amico, se la ride beato.

Il sentiero è un po’ disconnesso ma in discesa, porta direttamente in quell’angolo sperduto, protetto, incontaminato. A quell’ora solo qualche uccello che si muove d’improvviso tra gli alberi. Quella specie di bulletto di Torino non lo ammetterebbe mai ma un po’ di paura ce l’ha. Si tiene vicino all’amico che, nel quasi totale buio, cammina sempre a fianco a lui così ché ogni tanto si scontrano, si pestano. E poi, dopo quasi due chilometri passati a chiacchierare amabilmente, arrivano alla radura. Un posto spettacolare a quell’ora poi, con la luna, una luna immensa, a fare da lampione. Michele non ha ancora smesso di ascoltare il rullare del suo cuore dall’emozione romantica che lo ha investito che vede l’amico strapparsi i vestiti, ormai tutto concentrato nel bagno di notte. Nessuno dei due ha minimamente pensato di indossare il costume, anche se il progetto era preciso, studiato e elaborato già da un bel po’ di tempo. Non che gli dispiaccia, Michele lo imita e qualche attimo dopo sono entrambi con i polpacci in acqua.
“Quando ci siamo bagnati anche la testa facciamo i tuffi?” Diego lo domanda con il tono di un bambino che chiede il permesso. Michele gli sorride con dolcezza, cercando di non pensare che a causa dell’acqua fredda i suoi gioielli sono tutto ciò che resta della sua virilità. Dove sarà finito il bel sigillo maschile che renderebbe orgoglioso ogni bravo ‘masculo’ del sud?
“Per caso hai freddo Michele?” la domanda impietosa del collega, giunge a proposito. Perché se c’è da sfottere, Diego Perrone sa sempre dove andare a parare, e lui lo sa.
“Mi prendi per il culo tu? Sei una femmina o cosa? Te l’ha mangiato il gatto? Sarà morto di fame poveraccio”
Diego non replica e, mostrando una tempra davvero ammirabile, si tuffa in quel mare settembrino che non sembra proprio ospitale. Ma la luna c’è, gli ormoni pure, e ben presto pure Michele si lascia andare. I primi secondi considera che gli si spaccherà il cuore dal freddo, ma poi si abitua e pensa che ne è valsa la pena: il salto, la camminata, i testicoli al freddo. Ora è tutto perfetto, ora che Diego lo prende per mano e lo tira verso di sé. “Muoviti voglio tuffarmi nell’acqua termale”
“Non penso sia calda però, non immaginarti i geyser, mi stai attento?” ma le raccomandazioni risultano inutili visto che Diego è già immerso nei tre metri d’acqua di mare incastrata in quella piscina naturale. La luna selvaggia emana il suo chiarore nelle acque che a causa del buio sembrano scure, invece sono così cristalline di giorno, quando c’è la gente, mentre ora è tutto silenzio, è tutto deserto.
Michele si lancia, e attorno a sé un’esplosione d’acqua.
“Sei un tuffatore nato” lo sfotte ridendo, poi si fa vicino, subdolo. Michele all’improvviso vede solo gli occhi immensi baluginare al chiaro di luna. Tossicchia nervoso e l’altro si è già aggrappato a lui, pari pari a un koala su di un albero di eucalipto.
“Baciami, siamo qui per questo no?”
“Il solito romantico” Michele prova a smorzare la tensione ma non è che ci riesca perché è sempre così, quando Diego lo bacia, o anche il resto, diventa una sorta di scendiletto che visto da lontano, tipo da un angolino nell’alto, dove sono i rami dei pini ad esempio, si schiferebbe un po’ di sé, ma le mani intraprendenti dell’amico ci sanno fare e lui si sta davvero divertendo. Galleggia e gli sembra di fluttuare però.
La bocca di Diego.
La lingua di Diego.
La mano sinistra di Diego.
La mano destra di Diego e la mano sinistra di Diego.
Su e giù e sempre più veloce.
“Che ti prende” sbotta con il fiato grosso Michele: “Tutto ‘sto casino e vuoi farmi venire con una sega?” 
“Perdio se sei sensibile” Diego si finge disturbato con quel modo maschile e tuttavia strisciantemente isterico. E questo contribuisce ad eccitare Michele.
E la sana, genuina e tosta esuberanza pugliese prende il sopravvento.
Afferratolo per la vita come se fosse un pupazzo, lo scaraventa sullo scoglio senza tante cerimonie. A Diego scappa un gemito. La botta in testa lo lascia un attimo interdetto ma non è che il dolore, inteso come gioco erotico, non sia parte attiva dei loro giochini privati.
“Ora sì che mi piaci. Non sei più un gatto senza artigli”
“Sempre poeta Diego” soffia sulla bocca prima di azzannarla. Di divorarla.
Basta poco per unirsi. Le gambe ad artigliare la vita, i fianchi dell’altro in avanti. Come due pezzi di un puzzle a incastrasi. Però non è mai stato facile, nemmeno immediato. Ma se l’acqua aiuta, la passione fa molto di più.

Diego pensa che sono giusti due chilometri dal resto dell’umanità per non farsi sentire, dato il casino che hanno fatto. Visto che ha urlato così tanto e così forte che forse non avrà più voce per il resto della sua vita. Lui che con la voce ci campa. Michele lo tiene stretto a sé. I sudori stridono confondendosi con il resto degli umori. Il mare di Porto Selvaggio, lacrime e sperma. Quest’ultimo scivola fuori dal corpo ancora scosso di Diego. Che solo quando Michele smette di baciarlo in bocca, sussurrando tra un bacio e l’altro parole di passione, trova la forza di farsi una risata. Grossa, cristallina. Inappropriata.
“E ora? Che cazzo ridi?”
“Niente pensavo... non te lo dico ora, magari quando torniamo a casa” si asciuga le lacrime.
“No, me lo dici”
Lentamente escono dall’acqua e si vanno a coprire con la camicia di Michele che copre entrambi, ma dopo pochi minuti a battere i denti, Diego si rimette la sua maglietta e gli scappa uno starnuto.
“Ora me lo dici perché ridevi?”
Michele si accoccola ancora di più a lui. Dopo aver ricominciato a ridere per un po’ finalmente Diego riesce a spiegare: “Niente pensavo a quanto siamo stati pazzi a fare quello che abbiamo fatto e mi è venuto in mente che magari dietro al muro ci troveremmo i carabinieri...” la risata gli arresta la favella.
“E ti fa ridere?” al solo pensiero Michele, ma soprattutto Caparezza, diventano bianchi di paura.
“Come in Che bella giornata” termina Diego rotolandosi con le mani sulla pancia. Per fortuna però un’oretta dopo non trovano nessuna polizia. E sono di nuovo diretti a Molfetta. E Michele guida piano sperando di non addormentarsi per poi inforcare su un albero. E rendere quel sogno l’ultimo. La musica della radio fa da sottofondo al russare leggero di Diego. E Michele pensa: altri dieci chilometri e siamo a casa.


3 commenti:

  1. Semplicemente favolosa. Con poche descrizioni sei riuscita a rendere in modo perfetto l'immagine di questa oasi dove Diego e Capa si rifugiano. Ciò che più mi fa impazzire di loro due e che emerge soprattutto in questo racconto è il Diego impulsivo, pronto a scavalcare cancelli, scalare rocce pur di raggiungere il posto tanto agognato senza curarsi delle conseguenze e il Michele riflessivo e preoccupato di non farsi beccare da un poliziotto a commettere un'infrazione. Amo questa coppia proprio per le differenze che li caratterizzano e che li rendono due parti di un'unica mela, due anime destinate a trovarsi e ad unirsi. In conclusione, non so se lo hai capito ma la tua fic mi ha tanto emozionato e se possibile mi fa amare ancora di più i "coniugi"

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  2. Io… io… vorrei essere brava con le parole come lo sei tu per esprimerti la grandezza delle emozioni che questa FIC ha suscitato in me. Non lo so, forse al momento non ce la faccio. È semplicemente perfetta.

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