domenica 30 settembre 2012

Il cassetto dei sorrisi, capitolo quattro



Titolo: Il cassetto dei sorrisi  

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini

Genere: Romantico/Introspettivo  

Rating: NC 17, slash

Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy Baby, di Diego Perrone




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Capitolo 4


Ero nel pallone. Ora che Elettra sospettava di una mia doppia vita, lasciavo troppe tracce, la mia espressione sempre troppo sorridente e rilassata e non scopavamo praticamente più. Iniziò a farmi discorsi inerenti al futuro; non la vacanza. L’idea di portarmi in Puglia Diego la tenevo in vita, ma non sapevo come liberarmi di Elettra, convinta più che mai a seguirmi a Bari. Alla fine riuscii miracolosamente ad inventarmi un problema inerente a certi backup ed infilarla nell’ultimo posto per un soggiorno all’isola di Creta con tre coppie di amici, promettendole che li avrei raggiunti appena risolto il casino con i computer a Milano. Che ci crediate o no ero stato io ad infestare il sistema di virus. Combattere il sistema alla radice, ingaggiavo un graffito in un centro sociale di Bari vecchia. Ma io mi ero comportato come il più banale dei terroristi.
Libero da fidanzata e dai trojan, impossibilitato ad andare in Puglia perché non avrei avuto la possibilità di tornare a Milano con Diego, avendo il volo per Creta da Roma, decisi di seguirlo io a Torino. Fu una vacanza un po’ assurda. La città era alleggerita, nel senso che tra i portici giravano solo pochi turisti di cui molti stranieri, coperti da cappelli multicolori e armati di borracce. Come molti ricorderanno l’estate del 2003 fu incredibilmente calda e per rifugiarci dall’afa insopportabile, spesso rimanevamo chiusi nella stanza d’albergo. Mentre all’inizio della nostra storia, tutto mi era sembrato normale, cioè non riuscivo a scorgere le differenze tra lui e una qualsiasi ragazza, durante quella vacanza iniziai a soffrire le differenze. Se andavamo per strada e mi veniva voglia di baciarlo in bocca, o di abbracciarlo, Diego si scansava, magari sorridendomi imbarazzato. Io invece ero così innamorato da non pensare agli altri. I suoi genitori non sapevano nulla dell’orientamento sessuale del figlio e quando andammo nella loro casa, in un paesino anonimo dell’hinterland, coperto da un’unica linea ferroviaria, mi guardarono con diffidenza e curiosità. Tranne una sua cuginetta di dieci anni, ospite presso i suoi, che impazziva per i miei capelli e voleva a tutti i costi farmi giocare con lei ai videogiochi che si era portata. Così mi ritrovai quei pomeriggi nella cameretta d’infanzia di Diego, a giocare con una consolle per me troppo moderna, di fronte ad un televisore piccolissimo, mentre Diego cercava di convincere i suoi che il suo posto a Milano non era così pietoso. Alla fine, stanco dei consigli genitoriali, venne a buttarsi con noi e super mario.
Perché in generale, a mente fredda lo posso ammettere tranquillamente, l’idea di essere gay non mi piaceva. Mentendo a me stesso mi dicevo che non era della gente che mi fregava, essenzialmente, era proprio l’idea di essere in un rapporto omosessuale. Con tutto quello che ne consegue. I primi albori del disagio iniziavano a germinare dentro me, ma la passione e l’amore che nutrivo per Diego, per tutto quello che lo riguardava, dalla sua voce canticchiante mentre si faceva la barba, al modo in cui sputava i noccioli delle olive sul piatto, o quando si spuntava i capelli da sé. Dicevamo: l’amore totale era così forte, da non farmi vedere le magagne. Ma a Creta, tra i miei amici, Elettra e i cocktail con gli immancabili ombrellini multicolore, mi rinfrancò. Sorprendendo la diretta interessata, riscoprii un’attenzione erotica per la mia fidanzata, la quale ne restò piacevolmente sorpresa. “Sei tornato come i primi tempi, l’estate non dovrebbe finire mai” mi diceva cose di questo tipo. In verità non ne ero felice. Non potevo non ammettere che cercavo solo di dimostrare al piccolo omofobico che si annidava dentro di me, di essere etero. Tanto che alla fine della vacanza, a dispetto degli sms sdolcinati e carichi di passione che ci mandavamo ogni sera, nonostante dovessi evocare i bollenti incontri con il mio piercingato amante maschio per farmelo venire duro, alla fine della vacanza, iniziai a mettere in dubbio la mia storia parallela. Diego mi mancava un sacco, e quando lo rividi, agli inizi di Settembre, mi sentii morire per aver dubitato di noi. Dopo essere venuto, piansi esattamente come la prima volta. Ma in questo caso non leccò via le mie lacrime, ma mi chiese che avevo, e con un tono piuttosto acido. Non riuscii a spiegarlo, scosso da un fremito convulso. Lo vidi sedersi al centro del letto, le dita a premere le meningi. Poi convulsamente a cercare una sigaretta nelle tasche dei pantaloni.
“Mi vuoi lasciare?” mi chiese alla fine di un silenzio minaccioso.
“No!” lo gridai con troppa enfasi e questo lo mise in allarme.
“Perché non torni dalla tua ragazza?” quella frase dette il via alla nostra prima litigata. Ce ne sarebbero state altre, ma all’epoca, provai a risolvere la cosa in fretta.
Grosso errore.
Non avevo considerato che per farmi perdonare i giorni trascorsi a Creta con Elettra, non bastavano un po’ di moine e un ti amo sentito. Ma io l’amavo davvero. È che a Diego non andava di fare l’amante. Non era mai andato ma ora, complice il dolore provato durante la separazione, abbastanza forte per gridarlo. In principio era così incazzato che non riuscì a spiegarsi. Borbottò delle parole, poi si alzò per andarsi a rifugiare in un angolino della stanza. Se provavo ad avvicinarmi, mi tirava la roba sulla scansia.
“Perché non te ne vai?” sbraitò. Mi accorsi che stava piangendo dalla voce; troppo orgoglioso per farsi vedere piangere da me.
“Non me ne vado se prima non facciamo pace” puntai i piedi come un bambino. In effetti, durante quella reunion, i nostri comportamenti furono così infantili da non meritare nemmeno diciotto anni in due! Diego espettorò tanta di quella merda che portava dentro che non so come non ne restai seppellito. Era davvero pieno di acredine verso di me. E quell’idea che mi ero fatto di rapporto moderno, dettato dalla sua, mi illudevo, sessualità evoluta, finì disperso nel mare delle mie illusioni, come le ceneri di un defunto. Ma di una cosa fui certo dopo quel pomeriggio. Per Diego non ero un divertimento passeggero. Era pazzo di me sul serio, e io non sapevo nemmeno come mi ero guadagnato tutto quell’amore. Riuscimmo infine a fare pace. Complice anche Matteo, il suo inquilino, che ci invitò a cenare con lui e altri. Di fronte a un padellone di cous cous elargito su piatti di carta con scodella tipo rancio, le chiacchiere su Berlusconi, sulle tasse universitarie, sui Nirvana, tutto si appiattì. Dopo aver mangiato, Diego appoggiò la guancia sul mio braccio, era il suo modo per dirmi resta, o solo che avevamo fatto pace. Non ci furono bisogno però di parole. Avevo scelto lui.

Oggi sposi... XD

Di Laura Carboni.... :D

venerdì 28 settembre 2012

Diventare grandi, quarto capitolo



Titolo: Diventare grandi

Pairing: Michele - Diego

Rating: NC17 per linguaggio crudo e sesso.
I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito i nomi. La storia non è scritta a fini di lucro, ma solo di divertimento.



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mercoledì 26 settembre 2012

Il cassetto dei sorrisi, terzo capitolo



Titolo: Il cassetto dei sorrisi  
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Romantico/Introspettivo  
Rating: NC 17
Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy Baby, di Diego Perrone





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Capitolo 3


La bolla dunque era rotta e tutto cambiò. Quella sera tornai tardissimo ma Elettra, complice l’ansiolitico che soleva prendere quando faceva tardi, dormiva profondamente. Io non ce la feci a chiudere occhio. Troppa adrenalina scorreva, troppa agitazione. L’indomani scoprii due sms di Diego. Il primo era un semplice “buona notte amore mio”. Il secondo diverso, tutto agitato, e diceva più o meno così: “Sono stato uno stupido, cancella quel messaggio! Penserai che sono pazzo... ti rivedrò?” sembrava isterico. Mi affrettai a rispondere: “Ci vediamo oggi a pranzo?” Ci demmo appuntamento dalle mie parti. Di sabato, Elettra ed io dormivamo fino a tardi, e non decidevamo cosa fare prima delle due del pomeriggio. La liquidai con una scusa, qualcosa su della roba in tintoria. Lei non domandava mai niente. Scoprii che questo aspetto distratto e fiducioso della mia ragazza, era la green card per il regno dei fedifraghi. Dopotutto Michele Salvemini, quel vecchio diavolo, quel bonaccione, come avrebbe potuto tradire una Odero così?
Arrivai al secondo appuntamento con Diego, la quarta volta che ci vedevamo in assoluto, camminando sulle nuvole. Lui portava un pantalone nero al ginocchio questa volta, e una magliettina bianca stilizzata. I capelli spettinati erano in parte coperti dal cappuccio del giubbino, la barba di due giorni, ma sembrava comunque un ragazzino del liceo, tanto da farmi sentire un pervertito stupra - ragazzini! Ora che avevamo scopato sembravamo più intimiditi che mai, in quel locale del centro. Dopo aver ciondolato da un piede all’altro  ordinammo un trancio di pizza e una birra e prendemmo posto nei tavoli all’aperto. Diego sembrava affamato. “Ho un appuntamento da queste parti, alle tre”
“Io devo tornare in ufficio” mandai giù un sorso di birra: “Perché mi hai mandato quello stupido messaggio?” chiesi asciugandomi il sudore nei jeans.
Lo vidi sgranare gli occhi che divennero più grandi del normale. Erano già belli grandi. “Perché sono uno stupido! E se lo leggeva la tua ragazza?”
“Non fa cose del genere. Però capisco che tu sia cauto. Sì, meglio essere cauti... ” cercai di sorridere ma la situazione era complicata e io mi sentivo un degenerato mentre guardavo intensamente l’anellino sul labbro inferiore, sognando che tornasse a sfregarmi il cazzo. Come se mi avesse letto nel pensiero arrossì e propose: “Lo rimando l’appuntamento se vuoi, e torniamo a casa mia” in mezzo secondo risposi: “ok”.
In macchina, la sua, una trappola mortale fine anni ottanta, scoprimmo di non riuscire a stare divisi. Ci baciavamo ad ogni semaforo, ne trovammo molti. Mani sui rispettivi pacchi. In pratica consumammo tutti i preliminari là dentro. E quando, sempre bacianti, entrammo nel suo appartamento, fummo costretti a staccarci perché c’era Mattia, uno degli inquilini. Imbarazzato per quello che aveva visto, si presentò in boxer e canottiera. Diego ed io ci chiudemmo nella sua stanza e non ne uscimmo fino alle sette di sera. Quello che poi, in seguito, divenne la norma, era strabiliante e nuovo per me. Scopare di pomeriggio, venire più di una volta, tanto che alla fine mi sentivo così spossato da scoprire che mi si era abbassata la vista. Allora deve esserci un fondo di verità quando da ragazzini, ti dicono di non farti troppe seghe sennò diventi cieco. Forse questa credenza è legata allo sperpero di sperma. Diego pensava fosse normale. Secondo lui era solo amarsi con tutti i crismi. E noi ci amammo con tutti i crismi. Alla faccia di Mattia dall’altra parte del muro, che ascoltava allibito il nostro traffico.
Nella mia fantasia, Diego ed io fummo rinominati gli amanti dei navigli. Un nomignolo che mi inventai durante un consiglio d’amministrazione noioso, come tutti gli altri del resto. E più il mio dolce e appassionato consulente telefonico diventava interessante, più apparivano evidenti le magagne della mia vita “reale”. Cominciai a capire quanto Elettra, dietro l’apparenza perfetta fosse ipocrita e meschina. Dietro i vestiti firmati, le borse Vuitton, i segni del benessere della mia casa erano ingannatori. I soldi nel mio conto in banca inutili. Cosa sono poi dopotutto i soldi, iniziai a pensare annoiato mentre iniziava la bella stagione, dietro la finestra del mio ufficio. I soldi servono a comprare le cose, il cibo. Si baratta soldi per amore, un amore apparente che non ti dà nessuno. Le commesse ti possono vendere le loro scarpe, il barista il prosecco, la consulente telefonica la miglior offerta telefonica, ma nessuno di loro mi dava la droga, quella dolce droga che trovavo solo dentro Diego. E paragonabile ad un cocainomane che batte la stazione alla ricerca del pusher, io mi trovavo ogni pomeriggio una scusa per andare a fottere il mio ragazzo. E quando per i reciproci impegni non riuscivamo ad arrivare ai Navigli, lo facevamo nella mia macchina, con tutti i rischi del caso. 
Due pazzi, due innamorati.
Con l’arrivare dell’estate arrivò la tortura della scelta di dove passare le vacanze. Fu in quella sera che scoppiai. Elettra aveva invitato i nostri amici a cena, ovviamente tutto comprato al sushi bar, e mentre io fingevo di interessarmi ai loro discorsi, ricevetti un sms di Diego che mi faceva sapere di tornare a Torino per il week-end. Ovviamente ero geloso. Geloso e possessivo. Mi irritai e siccome non potevo litigare con l’oggetto del mio amore, bisticciai con Elettra per una cavolata. Niente villaggio, ma nemmeno campeggio. In Hotel ci sono troppe ristrettezze.
“Insomma Michele, che cazzo vuoi?”
“E se tu vai con loro e io mi sparo due settimane dai miei?” ero esaltato. L’idea, folle ma fantastica, era di portarmi in Puglia Diego. I miei genitori conoscevamo poco Elettra e il fatto che vivessimo insieme senza essere sposati, la faceva apparire come una specie di concubinabarraputtana. Se mi fossi portato dietro Diego, avrebbero pensato che ero tornato single e ne avrebbero gioito, sicuro. Pensai che ad agosto mia sorella andava in Calabria dai suoi suoceri. Avrei potuto piazzarmi con Diego nel suo appartamento, vista mare.
Iniziai a sognare, a nutrirmi di sogni, e, in parallelo, il mio rapporto con Elettra a sfasciarsi.


Diventare grandi, terzo capitolo



Titolo: Diventare grandi
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini AU
Rating: NC17
Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. 

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Se perdo le parole




Autori: Xel, giupoo

Pairing: Diego Perrone/Michele (Caparezza)

Nc 13 per slash e tanta malizia....





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Intorno a Michele il rumore dei tecnici che montano le attrezzature. Gli altri del gruppo prendono posto per provare gli strumenti. Tra poco apriranno le porte e il pubblico si riverserà sul linoleum del campo da basket. C’è ancora tempo per un’intervista, di quelle inevitabili. La giornalista arriva. Il rumore dei tacchi non supera quello del vociare intorno. La donna si colloca su di uno sgabello di fortuna. Il protagonista della serata è a sua volta appollaiato a gambe incrociate su un gruppo di amplificatori. Michele vorrebbe concentrarsi sulle parole della cronista, ma alle spalle di lei sta succedendo qualcosa. Infatti, con un sorriso malizioso, c’è Diego che afferra una sedia e vi si siede a cavalcioni, continuando a fissarlo. Chissà perché non deve sforzarsi neanche troppo per metterlo in difficoltà! Gli basta fare finta di avere caldo e sfilarsi la t-shirt come se fosse la cosa più ovvia. Lanciata la maglia su un mixer alle sue spalle, le sue labbra piercingate si atteggiano in un broncio annoiato e si fa vento con una mano. Poi si aggrappa allo schienale della sedia, fingendosi di nuovo interessato all’intervista. Ma chi suda veramente e chi ha veramente caldo è Michele. Non riesce proprio a capire più nulla quando Diego fa così, non si rende conto di aver detto Bruno Giordano anziché Giordano Bruno, citando involontariamente così il goleador della Lazio anni settanta piuttosto che il famoso filosofo eretico. Al che la giornalista lo guarda di sottecchi. Diego sogghigna. Anzi ride proprio, cercando di non destare l’attenzione dell’inviata.
"Ma chi, il calciatore?" dice lei sottovoce, mandando Michele ancora più in confusione. Quando sembra essersi ripreso con stile, però, torna a guardare oltre le spalle della donna. E vede che Diego si sta passando una mano sulla testa rasata e si lecca le labbra, giocando un po' con la lingua attorno all'anellino. Sospira e si strofina una mano sull'addome, agganciando col pollice il cinturino del pantalone a mezza gamba. Gli occhi puntati in quelli di Michele. Al pugliese si secca la lingua, tanto che non riesce più a finire una frase senza tossicchiare o muoversi come pizzicato da qualche insetto o bestia rara. Riesce solo a pensare che appena si troverà da solo con Diego...SOB!
"Sembra nervoso Salvemini, Dopo tante date ancora si emoziona così?" La domanda lo coglie distratto, ovviamente. "In effetti sono delle situazioni scomode... ehm... difficili, non riesco a spiegarlo"
"Ma io le ho solo chiesto se si emoziona così ogni volta " E Michele ci pensa qualche secondo. È proprio così... e tutta l'acredine che ha verso il suo collega si sfalda, lasciando spazio ad un pensiero dolce. Diego, che lo capisce al volo quando cambia espressione, arrossisce lievemente, quel sorriso malizioso che aveva cucito in faccia diventa dolce. Abbassa gli occhi sulle sue mani ora intrecciate e sente lo sguardo di Michele bruciargli la pelle. Non c'è niente da fare, il cuore continua a battergli troppo velocemente quando lo percepisce, quando Michele gli lascia intravedere ciò che prova per lui. Lo guarda di nuovo e per sentirsi meno esposto gli manda un bacetto. Ora non ha più voglia di fare il cazzone, vuole solo che quella giornalista se ne vada.

domenica 23 settembre 2012

Il cassetto dei sorrisi, secondo capitolo


Titolo: Il cassetto dei sorrisi  
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Romantico/Introspettivo/Nostalgico  
Rating: NC17
Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy Baby, di Diego Perrone




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Capitolo 2


Scrissi sul navigatore l’indirizzo di Diego quella sera. Sapevo solo, perché me lo aveva accennato, che si trovava sui Navigli, in un quartiere dal quale i tipi come me si tengono alla larga. Per esser sicuro che non sbagliassi mi aspettava per strada sotto il suo portone. Indossava una tuta grigia di quelle felpate che evidenziano il pacco, ma io cercai di guadarlo sempre in faccia. Gli diedi una confezione di pasticcini secchi e una bottiglia di prosecco. Ero digiuno e sobrio: con tutte le idee bislacche che mi suscitava quel ragazzo, ero più che mai deciso a tenermi lontano dall’alcol. Non mi fidavo di me stesso. Diego mi aiutò a parcheggiare dietro una fila di cassonetti, assicurandomi che i vigili da quelle parti passano di rado. Poi mi scortò nel palazzetto che affacciava sul fiume. L’androne era umido e io mi strinsi nella giacca di velluto. Sentivo freddo ma sudavo. Agitazione. La mansarda era al terzo piano, niente ascensore. Come potevo sapere, in quel momento, che entrare in quegli ottanta angusti metri quadri, sarebbe diventata una droga per me? Mi guardai intorno compiaciuto. Era il tipico appartamentino da studente universitario: puzzo di fumo e sudore, bottiglie di birra lasciate aperte, vestiti ammonticchiati, mozziconi di sigaretta disseminati ovunque. Diego si giustificò: “Sono un coglione. Ho detto in ufficio che non potevo fermarmi invece mi hanno convinto a stare per forza. O cucinavo o pulivo”
“Non fa niente” il realtà storsi il naso, quell’atmosfera incasinata, non so perché, contribuì ad aumentare la mia eccitazione. In una delle porte spiccava un foro nel mezzo; forse una pallonata, ipotizzai. Notai nel cesto porta-giornali, fare capolino dei vecchi numeri di Le ore. Mi agitai di fronte alla donna nuda in copertina. Diego si sbrigò a celare tutto sotto i rotocalchi tipo Panorama.
“C’è un buon odore” entrai nel cucinino minimale. Diego mise il grembiule per darsi un tono.
“Mi piace cucinare, di solito sperimento, ma non quando ho ospiti. Così mi sono affidato a quello che mi riesce meglio: tortellini al barolo e involtini di verza e crudo”
“Fame!” gemetti. Diego sorrise poi mi chiese di assaggiare un raviolo passandomi la forchetta. Per evitare l’imbarazzo di farmi imboccare, gesto a mio parere troppo intimo, gli sfilai la posata dalla mano e, nell’addentare il raviolo, mi scottai la lingua. “Attento Michele” ridacchiò prendendomi in giro. “Prendi dell’acqua”. Cinque minuti dopo mangiavano nel salone, su due tovagliette all’americana. Tra la polvere, i mozziconi di sigaretta e qualche fazzoletto di carta gettato in terra, che poteva essere benissimo intriso di sperma. Il primo era buonissimo e di involtini ne mangiai ben cinque. Non riuscii a tenermi lontano dal vino: “Pure i biscottini? Non dovevi...”. Iniziai a studiarlo di sottecchi, mentre entrava e usciva dalla cucina con fare convulso. Mi accorsi che c’era qualcosa di affettato in lui, di poco virile. Non al punto da poter essere definito effemminato, piuttosto femmineo, dolce. E anche misterioso. I misteri si snocciolarono un poco. Scoprii che non aveva ancora compiuto venticinque anni, ma era già laureato in lingue e che suonava la chitarra. Segno zodiacale cancro, una passione evidente per piercing e tatuaggi. Genitori divorziati, un fratello all’estero. All’apparenza asessuato. Mentre fumava assunse un’aria alla Wanda Osiris che mi divertì. Cazzeggiammo molto. Aveva un innato senso dell’umorismo, e mi ritrovai a ridere di ogni singola battuta, tanto che mi domandai se fossi ubriaco. Mi parlò dei suoi inquilini, del suo lavoro, che procedeva bene per fortuna. Gettammo un attimo un’occhiata nel cassetto dei sogni, seppi così che intendeva da sempre lavorare all’estero, come operatore turistico o in un’ambasciata, qualsiasi cosa che non fosse l’Italia. “Io non vedevo l’ora di scappare dal mio paese. Ma per far contenta mia madre ho studiato a Bari” spiegai. Eravamo seduti sul sofà a due posti, un divano così logoro che mi vennero in menti quelli della scientifica; se fossero entrati con le luci blu, quelle che si vedono nei film thriller, avrebbero trovato tanti di quei DNA diversi da rendere irrintracciabile un ipotetico assassino.
Smangiucchiammo i biscotti, ma il mio stomaco si era chiuso. Poi lo vidi attaccarsi alla bottiglia di prosecco e scolarlo come un camionista dell’est. Come quella volta sul terrazzino, mi diede l’impressione che stesse contando. Cautamente Diego si avvicinò a me.
A volte ripenso a quel momento come una seconda nascita, come se non fossi stato nell’appartamento sudicio di un consulente telefonico e dei suoi amici scostumati, ma in una stanza travaglio, e lui l’ostetrico.
Alzai lo sguardo e mi resi conto troppo tardi di quanto i nostri volti fossero vicini. Gli vidi le pupille allargarsi: “Sono così neri i tuoi occhi” mi disse prima di baciarmi. Il bicchiere che avevo in mano cadde senza rompersi, rotolò facendo un rumore pazzesco, ma rimanendo tutto intero. Pur travolto dalla sorpresa non mi azzardai a scostarmi dalla piccola bocca che mi baciava, anzi ricambiai e lo strinsi a me. Tra le mie braccia sembrava ancora più piccolo, persino più piccolo di Elettra. Secondo lei agli uomini non piace baciare, è una prerogativa delle donne, “agli uomini piace solo scopare” soleva dire. Forse perché ci baciavamo solo quando decideva lei, io avevo smesso da tempo di prendere l’iniziativa. Evidentemente Diego non faceva parte della categoria degli uomini contrari ai baci, perché limonammo per dieci minuti di seguito, cosicché fui sicuro che ci fossimo scambiati tutta la saliva che avevamo in bocca. Non riuscivo più a riconoscere la mia. Diego tremava un po’, ansimava. Poi sorrise.
“Bello”
“Bello” ripetei. Appoggiò la testa sulla mia spalla stringendomi a sé. Nessuno dei due sentì il bisogno di parlarne. Ogni attimo di quel che accadde prima e dopo resta impresso nella mia memoria.
Baciandoci ci spostammo nella stanza da letto. Qui c’era un altro divano con rete e un ipotetico materasso alto sette centimetri, una sottiletta, sul quale mi appoggiai. Mi chiese di alzarmi. “Cambiamo le lenzuola prima, ok?” Dall’armadio tirò fuori un lenzuolo verde acqua. Lo vidi rassettare con la rapidità di Mrs. Doubtfire. Poi mi spogliò. Man mano che le mani scoprivano la pelle, iniziai a rilassarmi. Era bellissimo il suo tocco, le sue carezze, le labbra che sostituivano i polpastrelli. A questo punto evito di entrare in dettagli morbosi per rispetto, non per pudore. Ma un accenno riguardo i dettagli tecnici della cosa, per me tutta nuova, è doveroso. Ovviamente scoprii che le cinque donne con cui avevo fatto sesso nella mia vita, non c’erano mai state in realtà. Elettra compresa, soprattutto lei. Diego era un’impensabile vulcano di passione. E la trasformazione che subiva, il divario che c’era tra il ragazzo dall’aspetto minaccioso ma timidino e introverso, e quello intensamente travolgente in cui si trasformava mentre amava, (mentre mi amava) era abissale, e ne restai folgorato.
Ci amammo per due ore usando le precauzioni e tutte le attenzioni di due innamorati. Quando venni piansi e lui mi leccò le lacrime fino all’ultima. Mi disse che mi amava da morire e che sarebbe morto per me, anche all’istante. Tutto conoscendomi da appena una quindicina di giorni e avendomi visto solo due volte prima di quella notte! Come nella più banale delle storie d’amore.
Nudi, a crogiolarci nel caldo liquido della passione, parlammo finalmente rilassati. Ora che ogni angolo dei nostri corpi era stato messo a nudo l’uno all’altro, potevamo sentirci liberi di spogliare pure le nostre anime. Rivelai che non ero stato mai con un uomo e che probabilmente prima di conoscerlo non mi ero mai posto il problema. Gli dissi pure che non sembrava gay, non era come quelli che conoscevo io, e lui sorrise domandandomi: “Nel mondo della moda sono tutte checche”
“Pensavo ci fosse più solidarietà tra minoranze”
“Come tra terroni?”
“Attento” lo minacciai fintamente arrabbiato. Così per farlo ridere, presi ad insultarlo in barese stretto. Ricominciò a baciarci. Nella sua saliva riconobbi tracce del mio DNA.
In quella prima volta con Diego fu tutta una questione di molecole, di chimica e di DNA.
Erano le due del mattino e l’unica cosa che sapevo è che non volevo uscire più da quella stanzetta. Dai baci di Diego. Dal suo odore. Dall’odore di sesso di cui era intriso l’ambiente circostante.
“La tua fidanzata si preoccuperà, penserà che hai avuto un’incidete” sputò la parola fidanzata con malcelata gelosia. Quanto l’amavo!
Ecco la successiva inquadratura del film della nostra prima notte d’amore. Diego nudo che stringe un pupazzetto, un coniglietto rosso in mano. Io vestito e con un broncio infinito. Lo salutai baciandolo con una passione così improbabile per uno della mia pasta, per il Michele che ero stato fino ad all’ora, da sorprendere persino me stesso. Agli occhi di Diego dovevo essere una specie di latin lover. Mi sovvenne che anche a letto non dovevo essere andato male, almeno basandomi sulle sue urla.
“Ti amo... scusa... ok?”
“Non fa niente... ti amo anch’io” gli dissi prima di tornare dalla mia ragazza.
Ad attendermi fuori la guazza, e una multa sotto il parabrezza. Ma il cuore era in fiamme e sarei potuto tornare a casa correndo, e non avrei avvertito la fatica.

sabato 22 settembre 2012

venerdì 21 settembre 2012

Diventare grandi






1

Pairing: Diego – Michele
Au
I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito i nomi.
Rating: Per ora Pg


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giovedì 20 settembre 2012

Il cassetto dei sorrisi



Titolo: Il cassetto dei sorrisi  
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro. Il titolo prende spunto da Rainy Baby, di Diego Perrone




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Vivevo in una bolla e non me ne rendevo conto. Tutto iniziò nel duemilatre, anzi, mi correggo, finì in quell’anno, prima ero nella bolla, poi arrivò l’ago a romperla, a liberarmi dalla prigione e, allo stesso tempo, incasinarmi la vita. Pur essendo nato e cresciuto nella calda e florida terra di Puglia, da circa quattro anni, mi ero abituato al grigiore di Milano, dove lavoravo come Graphic designer presso una prestigiosa casa di moda che sfornava calzature per bambini. Un posto d’oro che mi ero guadagnato dopo decine di colloqui. Era un ambiente moderno e modaiolo, dove il mio look radical chic, con i capelli lunghi e ricci sparati in testa e le camice a quadrettini grunge, gli occhiali da vista squadrati dalla spessa monta nera, non erano solo ben visti ma addirittura considerati “cool”. Essendo così fascinoso, non mi fu difficile impalare la figlia del capo, Elettra Odero, una bambolina bassa ma con le curve al punto giusto. E questo mi rese di gran lunga più facile la carriera. Ecco perché, dopo due anni fui promosso come vicedirettore esecutivo. Il direttore esecutivo, il padre della mia lei, non si presentava quasi mai.
Ero convinto innamorato di Elettra e con lei dividevo un delizioso appartamentino vista San Siro. A quasi ventotto anni ero certo di essere felice senza nemmeno aver mai sfiorato il concetto di felicità. Lo stesso che chiedere ad una donna d’altri tempi se sa cosa sia l’orgasmo senza averlo mai provato; può spiegartelo benissimo senza sapere cosa sia. Ma, come detto pocanzi, vivevo in una bolla e non mi rendevo conto di nulla. Le mie giornate erano scandite da una quotidianità quasi allarmante, ma che non allarmava me, contento nella mia normalità che strizzava l’occhio a Forrest Gump per la sua ingenuità, ma che invece mi poneva al centro di un ricatto. Ero in un altro film, The Thurman Show. Mi svegliavo la mattina alle sette meno venti. Per restare in forma, come voleva Elettra, mi facevo trenta minuti nel modernissimo tapiroulant che ci aveva regalato suo padre. Doccia, poi colazione. Insieme ci recavamo al lavoro. Venti minuti di macchina per coprire tre chilometri. Solo in seguito realizzai che se invece di camminare sul tappeto rotolante, avessi tenuto la Mercedes classe A nera super accessoriata, nel garage, l’ambiente, oltre che il mio stress, ne avrebbe giovato. Ma non era certo nelle corde di Elettra quel genere di fitness, abituata a camminare su tacchi vertiginosi. Lei non cammina, sfila. Per lungo tempo non mi aveva dato alcun fastidio ma poi... Torniamo alla mia giornata tipo, mi aspettavano: le solite facce, le solite scartoffie, le solite battute... per canalizzare la mia creatività mi gettavo a capofitto nel lavoro. Il mio ufficio, un cubicolo di dodici metri quadri ma al undicesimo piano di un palazzo pieno di uffici, mi inorgogliva, soffocandomi. Le piante d’interni lo adornavano, così come tutti i vari oggetti hi-tech. In una scansia alle mie spalle c’erano i peluche che Elettra era solita regalarmi. Li detestavo, ma non lo sapevo. Siccome a parte certi periodi dell’anno topici, settimana della moda, convention, fiere, il lavoro scarseggiava, dovevo inventarmi qualcosa, così finivo per passare ore su internet, dove saltellavo di blog in blog, di forum in forum, di sito in sito. Spesso cazzeggiavo, oppure studiavo. Ogni tanto acquistavo volumi sul medioevo, così da passare meno ore al pc e più con il naso tra le pagine fitte; in questa maniera attenuavo il senso di colpa. A pranzo mi recavo con Elettra nella mensa aziendale e alle cinque potevamo uscire per recarci al Muline rouge, un bar di tendenza per l’aperitivo. Di nuovo le solite facce, le solite battute, le solite puttane... Senza rendermene conto, mi sparavo quattro prosecchi, e se non ci mangiavo sopra anche poco, ne uscivo così ubriaco che spesso gli amici erano costretti a portarmi in auto a braccetto. Elettra guidava. Non cenavamo mai a casa: sushi bar, cena dai suoceri oppure da amici. Facevamo l’amore due volte alla settimana, il mercoledì e il venerdì sera, a meno che non fossi davvero troppo sbronzo o se lei aveva il ciclo. E di notte, qualche volta, mi svegliavo di soprassalto, uscivo dal mio letto alla japanese per fumarmi una sigaretta o per prendermi l’aspirina. Qualche volta piangevo. Era il mio segreto. Credetemi, ero davvero convinto che piangessi di gioia all’epoca. Io, figlio di una maestra elementare e di un operaio, avevo avverato il sogno di ogni ragazzo del sud, ero benestante nella Milano da bere, e non mi ero affatto reso conto che la Milano da bere stava bevendo me.
Poi tutto cambiò.
Quelle cose che se poi non assumono un significato diverso dopo, le dimentichi. Avete presente? Invece tutto rimase indelebile per me. Mi annoiavo così tanto quel giovedì mattina di un Aprile piovigginoso e stanco, che quando il telefono squillò, era la solita operatrice di call center, fui quasi grato di parlarle. Flirtai un po’ con lei, era pugliese come me mi disse, si chiamava Gianna. Alla fine accettai l’appuntamento per il giorno seguente, un venerdì che avrebbe segnato la mia placida esistenza. Quando infatti il giorno dopo il telefono interno squillò e la mia segretaria mi annunciò un certo “Signor Perrone” per l’appuntamento delle dieci e trenta, caddi dalle nuvole. Lo avevo rimosso. Ovviamente non avevo molto altro da fare, oltre rispondere a qualche mail e mettermi in coda per scaricare l’ultimo blockbuster. “Lo faccia entrare Simona” e mi spaparanzai sulla poltrona di pelle in attesa. Simona, una donna di mezza età priva di fascino, mi sfoderò da dietro la porta questo giovanotto con i capelli chiari dritti in testa. Il visetto, carino ma non tanto da poter essere definito “indimenticabile bello” era disseminato di piercing; la bocca atteggiata in un broncio, provò ad allargarsi ad un sorriso imbarazzato. Era timido e quando io mi alzai per offrirgli la nerboruta mano, lui arrossì. Poi prese coraggio: “Diego Perrone, piacere” gli ricordai il mio nome. Non era molto alto e non era vestito da rappresentante. Sotto un giacchetto di pelle che si tolse quasi subito, portava una maglietta dalla grafica interessante e jeans neri. Mi colpirono i suoi capelli e le sue mani. Aveva il vizio di far collimare parecchio questi due apici. Si toccava così spesso i capelli che mi chiesi se fossi io a incutergli tutto questo nervoso o non avesse davvero tanta dimestichezza riguardo l’Adsl che mi stava proponendo. Solo alla fine capii che erano entrambe le cose. “Mi scuserà, è il mio primo appuntamento” ammise alla fine intenerendomi. Aveva un suo fascino, pensai. Un po’ da cucciolo, ma anche da bello e dannato, con i tatuaggi da duro che spuntavano da sotto la maglietta a mezze maniche, nonostante la stagione ancora rigida.
“No, è stato chiarissimo. Ne parlerò a mio suocero, ma consideri che lui delega tutto a me” alla parola suocero sbiancò un poco: “Lei è sposato?” mi chiese, come se fosse un delitto o un oltraggio. “Perché? No, però è come se lo fossi. Mio suocero è il padrone della baracca. In ogni modo se acchiappi questa azienda, fai un bel salto” gli chiesi se voleva fumare e lui mi guardò con la gratitudine di una donna incinta con la vescica piena a cui offrono un bagno!
“Ucciderei per una sigaretta...”
“Però usciamo in terrazzo, la mia segretaria è abbastanza rompiscatole in materia. Soffre d’asma, cose così” ci alzammo e Diego mi seguì trotterellando. Avevo un terrazzino tutto mio, grande come la cabina di un ascensore. Impossibile non stare vicini. Le nostre braccia si sfioravano. Era più basso di me e più minuto. Ci scoprimmo a non sapere cosa dirci mentre guardavamo il panorama di tetti maestoso che si parava sotto i nostri sguardi.
“Milano ha un suo fascino vista da quassù” mi azzardai a dire.
“Io ci vivo solo da tre mesi” restai un po’ interdetto. Non lo avevo capito dal dialetto.
“Di dove sei?” passai al tu e lui sembrò rilassarsi un poco.
“Provincia di Torino. Stavo cercando lavoro quando mi è arrivata un’offerta da un’azienda di qui che prende neolaureati e, indovina un po’... " infilò le mani in tasca, lo sguardo divenne rabbioso: <Hanno deciso di ridimensionarsi. Tagli al personale, così sono stato il primo ad essere licenziato”.
“Cazzo che sfiga” mi sfuggirono due parolacce in una frase sola e Diego ridacchiò sereno. Mi piacque il suo sorriso, non mi dava l’impressione di uno che ridesse con facilità. Anzi ebbi subito l’impressione, giustissima, che Diego non fosse uno che elargisce sorrisi con facilità, tutt’altro. Erano rari e dati con parsimonia. Poi se ne andò e io mi ritrovai a pensare a lui distrattamente ma a cadenza regolare. Pensai a lui durante l’aperitivo quella sera, quando mi passò vicino una ragazzetta mezza punk con un vistoso piercing sul labbro. Ripensai a Diego quando dovetti staccare e riattaccare l’analogico del computer di casa. “Voglio mettere l’Adsl pure qui” gridai ad Elettra, intenta a spinzzenttarsi le sopracciglia. “Ma se ti colleghi pochissimo”. Ma io non le diedi retta. Stavo già pensando se fosse il caso di chiamare subito per un appuntamento Diego Perrone per la linea di casa. Il biglietto da visita ce l’avevo nel portafoglio. Ma se l’avessi chiamato di sera, mi dissi, forse lo avrei preoccupato. Ma non riuscivo a smettere di pensare a lui. Continuò così pure il giorno dopo, e la cosa mi preoccupò. E quando tornò, una settimana dopo per farmi firmare il contratto, rimasi deluso vedendolo entrare con un tipo grassoccio, sui quaranta, rasato e con una risata antipatica e inopportuna. Diego restava in silenzio a fare tappezzeria. Questa volta però indossava una camicia giallina sotto il vestito scuro. Senza cravatta. Il look da bravo ragazzo cozzava con i capelli punk e i piercing. Ma era comunque bello. Per liberarmi del suo superiore grassone e antipatico, proposi a Diego di fumare con me e chiesi a Simona di accompagnare l’altro, del quale ora ho dimenticato il nome, dunque lo chiamerò grassone; chiesi alla mia segretaria di mostrare gli altri uffici al grassone. E solo con Diego sul terrazzino, assorbii subito l’atmosfera erotica. Sembrava adeguata come una minigonna in chiesa, ma era naturale e genuina come l’erezione nei miei pantaloni, da sembrarmi entusiasmante. Un bambino di otto anni sull’ottovolante, così mi sentivo. Diego mi guardava negli occhi questa volta, ma lo intimidivo lo stesso, anche se mi aveva impalato, mi aveva venduto la sua fottuta Adsl.
“Sei contento?” lo domandai quasi provocatorio. In verità volevo proprio provocarlo. Diego sputò fuori un po’ di fumo, poi tossicchiò. “Il mio primo cliente... mi piacerebbe festeggiare”
“Festeggiamo!” mi scappò. Lui mi guardò intensamente e dopo qualche secondo, ebbi l’impressione che contasse, mi chiese: “posso invitarti a cena”
Io deglutii. Lo stato di esaltazione si trasformò in panico, perché mi stavano cadendo addosso tutta una serie di emozioni che non conoscevo e non sapevo come fronteggiarle. Mi affidai all’istinto: “Ma una trattoria, non parlarmi di pesce crudo o roba etnica”
“Cucino io” ero così disabituato al concetto di mangiare a casa che lo guardai di traverso, poi capii.
“I miei coinquilini il finesettimana tornano a casa, se ti va questo venerdì...?” era e sembrava un appuntamento con tutti i crismi. Mi ricordai che proprio quel venerdì Elettra iniziava joga. Era fatta. Ero libero.
Diego mi diede il suo indirizzo e io iniziai a vivere per quella sera.   

mercoledì 19 settembre 2012

My happy island

Per festeggiare un anno abbondante d'amore per i nostri preferiti, ho fatto questo video

domenica 16 settembre 2012

“Chiamami Patroclo”.... “E io sarò il tuo Achille”




Titolo: “Chiamami Patroclo” “E io sarò il tuo Achille”  

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)  

Genere: Comedy/Romantico  

Rating: Nc 17  

Disclaimer: niente di tutto questo è reale e a scopo di lucro


Liberamente ispirata alla fic di Alex G, che ringrazio Io sono Achille e tu Patroclo



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Nel camera d’albergo illuminata da otto piccoli faretti, risuona la voce di Michele. Con espressione autorevole, gli occhiali dalla montatura nera poggiati sul naso, i capelli folti tirati indietro da una fascetta rossa, il rapper legge a Diego, stravaccato al suo fianco nel letto che dividono, i versi di Omero. Il torinese ha la testa appoggiata sulla spalla del collega e fantasticando sulle battaglie epiche e sul coraggio degli eroi greci e troiani, gli accarezza il braccio con la punta delle dita. Lo affascina talmente Achille che sta cominciando ad immedesimarsi in lui. “Michi...?” alza lo sguardo. “Che c’è? Ti annoio?” “Per niente!” gli occhi bellissimi si illuminano: “Questa roba è fantastica! Avrei dovuto leggerla a scuola l’Iliade” “Visto? Se invece di andare dietro alle ragazze studiavi...” maligna l’altro. “Ma non è vero!” gli sferra un pugnetto sul braccio. Divertito dalla sua faccetta imbronciata, Michele scoppia a ridere. “Cazzo ridi!?” “Dai, non prendertela se ti sfotto un po’” “Il solito saputello!” “Che faccio, continuo?” “Che è tutto questo interesse per i classici, Michele?” si sporge verso di lui. “L’ho trovato sulla libreria dell’albergo e visto che ci annoiamo prima del concerto, volevo dargli uno sguardo” alza le spalle. “Mi piacciono i classici, soprattutto la mitologia greca” “Il mio è preferito è Achille!” esclama Diego: “Era gagliardo” “Un famoso guerriero. Mentre sua madre era una ninfa” “Le ninfe sono delle fighe esagerate, vero?” Mentre Michele ridacchia Diego poggia distrattamente una gamba sulla sua. “Ma, non so, Achille lo era. Bello, oltre che coraggioso, indomito, ma con un carattere impossibile” “Che altro sa professore?” Lo prende in giro. “Bene... mh fammi pensare: a sì: gli fu profetizzato che sarebbe morto giovane ma con gloria e…” si blocca “il suo punto debole era il tallone” “Ma è vero che amava un suo compagno?” chiede distrattamente Diego disegnando cerchi concentrici sulla coscia di Michele, il quale indossa solo un pantalone corto che gli lascia praticamente scoperta tutta la gamba. “Che c’è, ora t’interessa il gossip?” Per niente sorpreso da quella domanda, testariccia sospirando chiude il libro, certo di non riuscire più a leggere neanche un verso. “E allora? Mi rispondi?” Diego lo tampina dandogli un pizzicotto sulla coscia. “Ehi!” Michele salta. “E va bene! Pestifero, Diego!” si finge seccato. “Achille aveva un amante, ovviamente Patroclo” “Ma non è strano? Un tipo virile come lui...” Michele appoggia l’Iliade sul comodino al suo fianco. “Amava Patroclo, si dice fossero amanti, ma non sapremo mai se era vero o se li univa solo una grande amicizia“ Mentre Michele parlotta, Diego gli circonda le spalle con un braccio e lo attira più vicino. Michele continua: “Quando Patroclo fu ucciso, Achille era talmente furioso che ha massacrato il suo assassino, Ettore, principe dei troiani” Diego ascolta sempre più affascinato, gli occhi sgranati. “Posso capire” si spinge contro di lui: “Io impazzisco se ti fanno del male, Michele!” Quelle parole toccano il pugliese parecchio e non sapendo cosa replicare, si limita ad abbassare la testa. “Io non mi sarei comportato come lui” continua Diego mordicchiando il vistoso anellino sul labbro: “Mi sarei chiuso in me stesso, lo so. Sarei andato in una baita in montagna a riflettere su come fa schifo la vita e poi mi sarei buttato da un dirupo” Alla sola idea Michele sbianca: “Diego sta zitto, nessuno mi farà del male e non parlare di suicidio con quella leggerezza che mi fa incazzare!” “Dai Michi, io ti ho detto solo quello che farei, certo speriamo non accada mai” Diego sorride avvicinando il viso al suo. Il nasino alla francese accarezza la fitta barba. “Sai che mi sento molto Achille, in questo momento, Michele? Tu sei il mio Patroclo...” Michele dissente sghignazzando: “No, ti sbagli bello mio! Semmai, Achille sono io! Lui era più vecchio di Patroclo e con maggiore esperienza” “Lo sapevo! Sempre il solito. Vuoi essere un semidio della situazione, eh?” allunga le mani per solleticargli i fianchi. Si attacca alle maniglie dell’amore. Il cantautore famoso mangia di più durante i tour e negli ultimi tempi ha messo peso tutto sul girovita. Si divincola: “Achille era anche più bello di Patroclo! E potrei anche abituarmi ad essere quasi invincibile, che credi” “Che sbruffone” Diego ride continuando la carica dei solletichi. “In ogni modo, anche Patroclo si dice fosse bellissimo ed è morto indossando l’armatura di Achille” continua Michele tenendo l’amico per i polsi per impedirgli le lusinghe. “Ettore lo scambiò per lui” “Quante cose sai prof!” Diego gli regala un sorriso dolcissimo. Michele ricambia con uno sguardo intenerito. In quel momento gli sembra un bambino al quale raccontano una fiaba e lo coglie un’improvvisa voglia di stringerlo a sé e coccolarlo. Proprio in quell’attimo Diego si sporge verso di lui, le labbra possono quasi toccarsi. Michele arrossisce mentre avverte l’alito, un mix di birra e sigaretta, respirargli addosso. Basta una piccola oscillazione e le bocche si sfiorano. Diego fa scoccare un bacio. Come scottato, Michele tira il capo all’indietro: “Diego, ma… che fai... ?” “Mi sa che mi sono immedesimato un po’ troppo” Diego sorridendo, socchiude le labbra e torna a reclamare quelle del collega. E quando approfondisce il bacio, Michele si agita tra le sue braccia. Il pizzicore del piercing contro la sua bocca, una sensazione mai sperimentata. “Diego” geme piano il suo nome. “Chiamami Patroclo” gli occhi grandi baluginano. “E io sarò il tuo Achille” sussurra prima di affidarsi alle braccia tatuate. E l’argomento Iliade viene ufficialmente accantonato.




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Il concerto è terminato da ore quando Diego si sveglia di soprassalto guardandosi intorno spaesato. Dove mi trovo? Si gratta la testa. Michele gli è accanto. Dorme a pancia in su, con la testa sul cuscino e i capelli sparsi tutt’intorno. Il respiro è regolare e sulle labbra un mezzo sorriso sghembo. Era solo un sogno! Cavoli se sembrava vero. Ero nell’antica Troia. Mentre testariccia si muove per mettersi in posizione fetale, con le braccia strette al petto, Diego lo osserva in silenzio pensando che se fossero stati sul serio dei guerrieri, forse avrebbe davvero ucciso. Lui così mite. “Il mio Achille” mormora abbassandosi per posare un leggero bacio sulla sua fronte. Ancora profondamente addormentato, Michele mormora qualcosa di incomprensibile. Diego riduce al minimo lo spazio che li divide. Con un ginocchio gli allarga le cosce per crearsi uno spazio e stringerlo a sé. Accollatosi al suo petto, gli circonda la vita con un braccio. “Sei saggio come dio e anche carismatico” Diego affonda il viso tra i capelli, ispirando l’odore del suo shampoo. Il corpo nudo però è una tentazione. È ancora notte e lui, ansimando, tenta di riprendere sonno, fino a quando non sente le mani di Michele percorrere i suoi fianchi. È sveglio il furbetto... Attirandolo contro di sé, Diego gli cattura tra le labbra il lobo per succhiarlo dolcemente, mentre Michele gli agguanta le natiche tirandolo verso sé. Diego geme teatrale. “Ho sognato... ” “Cosa?” mugugna l’altro ancora ad occhi chiusi. “Che eravamo nell’antica Troia e io ero Patroclo” “E io scommetto che ero Achille” “Mhm... sì, il mio Achille virile e forte...” Diego lo stringe possessivo. Michele finalmente apre gli occhi: “Sei il mio Patroclo?” gli domanda all’improvviso. Diego trattiene il fiato. “Sempre sì... ora e per sempre se lo vorrai amore” e accoglie le sue labbra socchiuse. Si baciano lentamente e a lungo tanto che quando si staccano, sono così eccitati, che non possono far a meno di riprendere quello che hanno interrotto prima del concerto.

Amo il pericolo (Nel backstage)



AMO IL PERICOLO (NEL BACKSTAGE)

Pairing: Diego Perrone – Michele Salvemini (Caparezza)
Storyline: Tour Habemus capa (2006)
Rating: Pg
Fa parte del ciclo “Amo il pericolo” presente su questo blog 
Questa storia non è a fini di lucro e quello che c’è scritto non corrisponde alla realtà, ma solo a creazioni della mia mente. Un grazie a Giusi che come sempre mi da una mano nell'editing.

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La lunga estate caldissima, quindicesimo e ultimo capitolo




Titolo: La lunga estate caldissima

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)

Genere: AU (Alternative universe) Comedy/Romantico/Introspettivo

Rating: PG, slash,



Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro

Nota dell’autore:

Un grazie a tutti coloro che hanno perso tempo a leggere questa fan fiction.
Spero di scriverne altre che mi diano la stessa soddisfazione.
Le ultime strofe sono tratte da “Uno di quei giorni” di Diego Perrone (Dove finisce il colore delle fotografie lasciate al sole). 




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giovedì 13 settembre 2012

La lunga estate caldissima, Capitolo 14

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Titolo: La lunga estate caldissima

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)

Genere: AU/Comedy/Romantico/Introspettivo

Rating: slash. NC 17

Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito dei nomi e questa opera non ha scopo di lucro.

Note dell’autore: il titolo di questa fiction è stato ispirato dal pezzo degli 883, che faranno da colonna sonora all’opera insieme a tante altre. Spero di riuscire a far assomigliare i personaggi il più possibile agli originali. 




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Capitolo 14


martedì 11 settembre 2012

La lunga estate caldissima, capitolo 13

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Titolo: La lunga estate caldissima


Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)

Genere: AU/Comedy/Romantico/Introspettivo

Rating: NC 13 slash

Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito i nomi, e questa opera non ha scopo di lucro ma è per diletto

Note dell’autore: il titolo di questa fiction è stato ispirato dal pezzo degli 883, che faranno da colonna sonora all’opera penso. Spero di riuscire a far assomigliare i personaggi il più possibile agli originali.


Un grazie speciale ad Alex G che con il suo commento nel precedente capitolo, ha ispirato una scena che leggerete... <3


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lunedì 10 settembre 2012

Amo il pericolo (tra i templi)




Autore: giupoo -alex G.

Storyline: Eretico Tour, L'estinzione

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)

Genere: Comedy/Romance/Slash

Rating: NC- 17

Disclaimer: Questa fic non è scritta a scopi di lucro ma per puro divertimento e i fatti narrati sono solo frutto delle nostre testoline.

Una frase simbolica: Era emozionato come ogni volta che si trovava in intimità con Diego. Che era il suo amico, ma anche qualcosa di più. Però non lo sapeva nessuno. Erano qualcosa di più solo quando erano soli, e andava bene così ad entrambi.


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La lunga estate caldissima, capitolo 12








Titolo: La lunga estate caldissima

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)

Genere: AU Comedy/Romantico/Introspettivo

Rating: slash, NC 17

Disclaimer: I personaggi  mi appartengono, ho preso in prestito i nomi e questa opera non ha scopo di lucro.

Note dell’autore: il titolo di questa fiction è stato ispirato dal pezzo degli 883, che faranno da colonna sonora all’opera penso. Spero di riuscire a far assomigliare i personaggi il più possibile agli originali. 

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Capitolo 12


sabato 8 settembre 2012

La lunga estate caldissima, capitolo 11


Titolo: La lunga estate caldissima
Genere: AU

Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)

Genere: Comedy/Romantico/Introspettivo

Rating: NC 13

Disclaimer: I personaggi mi appartengono, ho solo preso in prestito i nomi


Note dell’autore: il titolo di questa fiction è stato ispirato dal pezzo degli 883, che faranno da colonna sonora all’opera penso. Spero di riuscire a far assomigliare i personaggi il più possibile agli originali.




Capitolo 11


venerdì 7 settembre 2012

Buongiorno papà Diegone!




Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini (Caparezza)

Genere: Romance

Storyline: 2002, registrazione Io vengo dalla luna

Rating: Nc 13 slash

Disclaimer: Questa opera non ha scopo di lucro e nulla corrisponde a fatti documentati (tranne la foto :D).


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Diego non ricordava quasi nulla sul suo primo incontro con Michele, ma ricordava nitidamente la prima volta (e molte successive) di quando era stato a Molfetta, nella sua casa – studio. Così come la maggior parte dei bambini ricorda il giorno della prima comunione e quasi tutti gli adulti, quello della maturità, Diego riusciva a rammentare anche i dettagli di quando, nel 2002, era sceso per incidere la sua voce in ‘Io vengo dalla luna’. Di quel giorno ricordava tutto.
Il primo viaggio era durato un’eternità o poco meno e più di una volta si era pentito per non aver dato retta alla sua ragazza che gli aveva consigliato di prendere l’aereo. Era quasi Febbraio e faceva un freddo micidiale, ma nemmeno quella volta aveva dato retta alla sua donna. Treno. Si cominciò a chiedere, mentre le cittadine dai nomi improbabili continuavano a susseguirsi sotto i suoi occhi assonnati, se quel supplizio che s’imponeva, non fosse un modo per ricordarsi che la sua vita e carriera erano a Torino, e che continuare a rincorrere il pennacchio dei calci in culo nel profondo sud, non lo avrebbe portato da nessuna parte. Si disse che, fermata dopo fermata, chilometro dopo chilometro, avrebbe capito che il suo posto era altrove. Ma quando se lo trovò alla stazione, tutto imbacuccato sotto un cappello che a stento conteneva l’enorme crine, le mani nella tasca della giacca a vento, saltellando per tenersi caldo, non rimpianse una virgola di quel viaggio assurdo, di tutti i chilometri, della noia che aveva provato. E istintivamente lo abbracciò. Timidamente Michele rispose all’abbraccio fino a lasciarsi andare così da tenerlo stretto a sé. Chissà da quanto tempo sognavano di stare così, magari non propriamente alla stazione, magari non se lo erano propriamente detto, nemmeno a loro stessi.
Allacciati proseguirono fino all’auto del cantautore pugliese. Continuarono a parlare del viaggio, della neve, e solo quasi arrivati, accennarono al pezzo che si apprestavano a registrare.
Diego si fermò a dormire quella prima notte su una brandina abbastanza scomoda, in un angoletto che non aveva finestre. Ma in compenso non era freddo affatto in quella sorta di cantinaccia. Però Michele passò la notte a girarsi e rigirarsi pensando a che razza di ospite ingrato fosse stato a piazzare il piccolo Diego in quel tugurio, piuttosto che proporgli una sistemazione diversa... magari in hotel... si disse cercando di scacciare l’idea di chiedergli di dormire con lui, nel suo letto. Dopotutto non ci sarebbe stato nulla di male. Un amico che ti viene da in culo alla luna si può anche trattare con riguardo, considerò nervoso quella mattina. Erano le nove e nessuno degli altri si era ancora fatto vedere. Non c’era da stupirsi, quella sera avevano fatto tardi, oltre le due di notte. Allora perché Michele, sperava con tutto il cuore che qualcuno venisse a svegliare Diego prima di lui? Considerò che si stesse davvero comportando da cafone. Non era nemmeno stato capace di preparargli la colazione. Così finalmente trovò la forza di scendere da basso, tanto l’occorrente per una colazione era tutto laggiù. Con una tachicardia inappropriata, riuscì ad attraversare la porta della sua casa-studio. Il caos la faceva da padrona così come il solito odore di fumo mischiato alla polvere prodotta dalle sue collezioni, ancora agli albori ma già numerose. Tossicchiò sperando di destare il suo ospite, il quale, sotto due strati di piumone, mostrava solamente la testa di capelli arruffati. Michele provò a fargli la colazione, ma quando ebbe finito di preparare le fette biscottate con la nutella, si chiese se, magari data la provenienza e il clima, Diego non avesse preferito qualcosa di più calorico, tipo pancetta e uova strapazzate. La sola idea gli provocò la nausea. Era escluso che avrebbe potuto cucinarle. Così, alla fine di tanti dubbi, vagheggiamenti e un gran senso di confusione in testa, si avvicinò a quella povera branda. Inizialmente si limitò a due colpetti sulla schiena. Non ricevendo segno di vita da parte sua, si arrischiò a toccare la testa. Le dita penetrarono la chioma chiara e il calore del corpo invase di sublime piacere Michele, il quale provò cinicamente a rompere ogni indugio con una battutaccia: “Sei ancora caldo, allora sei vivo!” sentì cianciare la sua voce roca data l’ora. Diego si mosse appena mentre la mano continuava la sua esplorazione passando dai capelli alla nuca. Sentendolo agitarsi sotto di sé, Michele fu tentato di smettere di toccarlo, ma la sensazione dei capelli tra le dita era troppo piacevole per privarsene e la lasciò lì. Diego finalmente si voltò, gli occhi mezzi aperti, un sorrisetto dolcissimo solo per il suo ospite... Michele arrancò poi riuscì a dire come se niente fosse: “Papà Diegone buongiorno”
Papà Diegone non rispose ma allungò un braccio fuori dai piumoni per accarezzarlo a sua volta. Quando la mano gli penetrò la folta chioma, un po’ per la sorpresa, un po’ per la sensazione inaspettata, Michele perse l’equilibro ed evitò per poco di crollare pesantemente addosso a lui. Invece si sedé al suo fianco e per qualche secondo si godettero la reciproca carezza. Diego cominciava a spalancare gli occhioni proprio in quel momento e Michele a perdercisi dentro. La cosa durò davvero per troppo, occhi negli occhi, carezza reciproca. Non riuscendo poi a dirsi nulla. Fu Michele a rompere il silenzio inopportuno. “Ha... hai... do- dormito scomodo? Questa branda è uno scandalo”  balbettò.
“Sì, sono d’accordo. La mia schiena mi ricorderà che amico stronzo ho per tutto il giorno” Le sopracciglia di Michele assunsero la posizione obliqua: “Oh, povero caro, avrei dovuto prendeti una camera, è che mi fa piacere averti in giro anche quando non proviamo” quell’ammissione così fresca e genuina fece scappare un sorriso altrettanto fresco e genuino al beneficiario del complimento.
“Per questo sono qui, non ci sarei andato in albergo...”
“No?” Michele arrossì. Diego stava quasi per dire che avrebbe accettato invece di dormire volentieri nella ‘stanza patronale’ quando fecero il loro ingresso Alfredo e Rino. Come colti in flagrante, i due cantanti ritirarono le rispettive mani dalle rispettive chiome. Michele li accolse, poi però l’attenzione tornò al torinese, il quale si stirava, si tirava fuori dalle coltre. Indossava un pantalone di una vecchia tuta Adidas e un magliettina. “Copriti, è freddo” si raccomandò Michele come una vecchia zia. Poi allungò una mano e Diego ci si aggrappò per tirarsi su. E il secondo giorno di Diego Perrone a Molfetta, a registrare ‘Io vengo dalla luna’ proseguì così. Ad un occhio attento non sarebbe sfuggito il flirting reciproco e pesante, dalle fette biscottate, con tanto di grazie amore, dai continui occhieggiamenti, dalla strusciate braccio braccio, gamba gamba, quando ci si sedeva. Michele e Diego sempre vicini. Ma gli altri non avrebbero mai indovinato cosa stava accadendo, anche perché nemmeno i diretti interessati erano disposti ad ammetterlo. E quando venne di nuovo la sera, tutti attorno agli avanzi di pasta del giorno, ai tranci di pizza comprati, Diego uscì fuori, nonostante ancora nevicasse, per fumare e chiamare la sua ragazza. Michele lo osservò invadente chiacchierare con la sua lei, invaso da una gelosia dolcissima. Voleva dirgli di rientrare che così si sarebbe buscato un malanno. Difatti, la telefonata non durò troppo e Diego rientrò quando ormai il resto della band era tornato nelle rispettive case.
“Domani hai il treno” fu la triste considerazione di Michele. Il soggiorno di Diego era già finito, quella era la dura realtà, dura almeno per lui.
Diego si avvicinò a lui fino a trovarselo di fronte. Alzò la testa per poterlo guardare negli occhi. “Non farmi dormire un’altra notte in quella trappola” riuscì a dire timidamente indicando la branda. L’altro notò che era rosso e chissà quanta fatica era costata quella richiesta. Per un attimo pensò di temporeggiare fingendo di non aver capito e di mettere in mezzo di nuovo l’albergo, ma Diego lo bloccò attirandolo in un abbraccio. Il pugliese si sentì un po’ perso, come alla stazione il giorno prima, ma di più. Questa volta non avevano nemmeno la scusa che non si vedessero da mesi. Poi però riuscì a rispondere d’istinto all’abbraccio senza bisogno di aggiungere altro. La testa di Diego premuta sul petto dell’amico. Le parole che volarono attorno a loro come farfalline, lasciarono entrambi senza fiato: “Grazie di tutto” disse Diego, “grazie per come mi tratti, grazie di farmi sentire così speciale per te”.
Michele, oggettivamente, arrancò di nuovo. Non riusciva a stare dietro del tutto a Diego. E rispose: “Grazie a te che ti fai in due giorni diciotto ore di treno, amico mio!”
“Questo album sarà stupendo, il nostro pezzo pure” rispose puntando il mento al centro del petto di Michele e fissandolo con gli occhioni grandi e lucenti. “Ci sto dentro” aggiunse, e quella frase restò un po’ vaga. Dentro Le verità supposte? O dentro la sua vita?
Michele gli spostò un ciuffo di capelli da davanti gli occhi e una voglia di baciarlo pazzesca si impadronì di lui lasciandolo letteralmente spiazzato. Allora era tutto lì il problema. Diego gli piaceva un po’ troppo, questo gli era chiaro, ma ora addirittura voleva baciarlo!? Pensò che forse poteva farlo sul serio, per suggellare quel sodalizio. L’indomani se ne sarebbero dimenticati entrambi. Non se avessero dormito insieme però... e poi le labbra schiuse leggermente imbronciate, esercitavano su Michele un’attrazione incontenibile. Gli sfuggì una considerazione parecchio fuori luogo: “Sei un sacco carino Diegone, te lo posso dire o pensi che...”
Il volto di Diego s’illuminò come un albero di Natale: “Cazzo sì, penso che... penso che...” tossicchiò: “Non mi sbaglio vero Miche’? Io ti piaccio, no?”
“Molto... moltissimo” ma mentre lo diceva, abbassò la testa. Michele si disse che non stavano parlando della stessa cosa. Non poteva essere, poi Diego era talmente innamorato della sua ragazza...  “Come cantante e come persona. Ovviamente sì, mi piaci” aggiustò il tiro. Ma poi gli scappò un sorrisetto sornione e Diego capì che si stava arrampicando sugli specchi:
“Invece esteticamente ti piaccio? Mi trovi sexy?” sfoderò la faccia tosta che non aveva ma che sapeva fingere di avere.
Michele titubò un attimo, poi ammise: “Sei molto bello, te l’ho appena detto. Sei carino e sexy... se fossi gay ci proverei come un matto con te, anche se tu non sei affatto gay no” parlò senza freno: “come non lo sono io. Questi però sono discorsi inutili perché, ovviamente, se fossimo entrambi gay staremmo già scopando come ricci!” Diego rideva. “Cazzo ridi! Ho detto qualcosa di comico? O di sbagliato”
“No, è tutto giusto. Siamo entrambi regolari e non c’è attrazione tra noi, come no...” lo sfotté.
“Va bene... ” Michele ammise cercando però di staccarsi la presenza fisica del piccolo Diego di dosso: “Ammettiamo che tra noi un po’ di attrazione ci sia, tu come te lo spieghi?”
“Tu sei più filosofo di me, spiegamelo te” lo provocò puntando i pugni sui fianchi. Non gli piaceva che Michele si fosse staccato da lui, sebbene comprendesse che parlare di cose serie abbracciati, del fatto che nessuno di loro avesse tendenze omosex, suonava bene quanto un valzer viennese a Woodstock!
“Ho bisogno di capire... anch’io. In ogni caso tu hai la ragazza e mi sembri un tipo fedele. Dunque facciamo una cosa... siccome non mi sembra il caso di dormire insieme, ti concedo il mio letto e io dormirò sullo scassone qui sotto, ok?”
A Diego cascò la mascella. Un bambino di otto anni già pronto per partire al quale hanno appena fatto sapere che il viaggio a Disneyland non si farà più.
“Tanto valeva andare in albergo allora” fece il broncio.
E Michele si spazientì: “Allora dimmelo, vuoi dormire con me? Perché? Io non lo capisco” assunse una posizione di chiusura e Diego sbottò: “Quanto sei testone! Mi piaci! Ecco perché!” e siccome Michele continuava a muoversi come se incapace di stare fermo, Diego tornò ad abbracciarlo, questa volta però carezzandogli la schiena. Si mise in punta di piedi per potergli sussurrare all’orecchio: “Mi costa dirlo perché so che ho tutto da perdere Michy, ma cazzo tu mi piaci davvero un sacco, e voglio dormire con te. Lo capisci?”
“Io invece ho voglia di baciarti... forse di fare l’amore con te, lo capisci?” finalmente Michele lo aveva ammesso! Ora non c’erano più equivoci, sulla parola mi piaci, ci siamo piaciuti... il senso era quello ‘omo’.
“Lo voglio pure io” gli occhi di Diego si erano fatti lucidi di piacere mentre lo diceva, come se già lo pregustasse. Continuò: “Se non lo avessi detto tu lo avrei detto io”
“Va bene” Michele fece un profondo respiro e poi riuscì finalmente a fare quello che aveva desiderato più di ogni altra cosa nelle ultime quarantotto ore: prese Diego tra le braccia e lo baciò. A lungo e con dolcezza e senza più timidezza. Diego si lasciò baciare e rispose con impegno. Un bacio appassionato ma anche pensato, nessuno dei due voleva fare una figuraccia. E alla fine, quando si staccarono per prendere aria, ognuno promosse l’altro best kisser.
Mano nella mano, si spostarono nella parte superiore della casa con il cuore in tumulto per un sogno che diventava realtà.
Un dolce sogno.  


NB questa fiction avrà un seguito... NC 17 (ovviamente via email... :D)
 

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