lunedì 26 novembre 2012

2Pianeti, parte terza



Titolo: 2Pianeti
Sottotitoli: vari, saranno specificati via via
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo  
Rating: N.C. 14 
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e non per insinuare qualcosa!



domenica 25 novembre 2012

2Pianeti, parte seconda




Titolo:

Sottotitoli: vari, saranno specificati via via
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e non per insinuare qualcosa!



In 2 sull’Ortica (2)

venerdì 23 novembre 2012

Diventare grandi Nono capitolo





Titolo: Diventare grandi

Pairing: Diego - Michele

Rating: NC 17 per scena di sesso esplicito omosex

I personaggi mi appartengono. Ho preso solo in prestito i nomi. Questa fic non è scritta a scopo di lucro ma solo per divertimento


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giovedì 22 novembre 2012

2Pianeti prima parte



Titolo: 2Pianeti
Sottotitoli: vari, saranno specificati via via
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: AU/Commedia/Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica e non per insinuare qualcosa!


In 2 sull’Ortica (1)




“Ma che cazzo hai da abbagliare, passa no?” Michele guarda dal finestrino il Suv che lo sorpassa e schizza via, a una velocità sicuramente superiore a quella ammessa dalla legge.
Guarda l’orologio, le tre di una notte senza luna e senza stelle. Buio pesto, e autostrada senza curve, troppo noiosa per poter restare sveglio ancora a lungo.
Al prossimo autogrill mi fermo e dormo un po’, sto per sforare, da ieri sera non ho ancora staccato.
Nemmeno la musica riesce più a tenerlo vigile; chissà perché poi la notte le radio mettono quelle lunghe serie di canzoni senza una parola che interrompa la monotonia. Ho anche rotto l’Mp3, porca… Ecco l’autogrill. Michele mette la freccia ed entra nel parcheggio destinato ai camion. Pensa di andare a bere qualcosa, se non a mangiare, ma è troppo stanco.
Esce un attimo dalla cabina per stirare un po’ i muscoli indolenziti. Fa due passi verso il recinto che delimita il campo li vicino. Vede un gufo nascosto tra i rami che lo guarda. “Ancora sveglio eh? Faresti meglio a dormire, tu che puoi”.
Quindi torna verso il camion. Michè, ti rendi conto che hai parlato con un gufo? Salta sul camion e  si butta nella cuccetta dietro cercando di rilassarsi. Certo non è comodissimo li dentro, lui che è così lungo, deve sempre rannicchiare un po’ le gambe.
Con le mani incrociate dietro alla testa, quel gran testone di capelli ricci e neri, Michele fissa il soffitto.
Gaja. Chissà cosa sta facendo adesso. Starà dormendo. O starà scopando con quel coglione che ha preso il mio posto. Maledetto bastardo.
Michele si gira sul fianco e prova a dormire. Già. Io sono il coglione. Io che non mi sono accorto di niente. Io che intanto che facevo il perimetro dell’Italia, e pensavo che regalo portarle dalle città che toccavo, lei se ne stava nel mio letto con quel fottutissimo architetto, pieno di soldi per di più. Magari non nel mio letto, nel suo, dell’architetto. In qualunque letto fossero, le corna le mettevano a me...
Niente, chi se ne importa, non me ne frega niente, era una stronza. A dispetto dell’ultimo pensiero, una lacrima brilla negli occhi neri. Fa ancora troppo male aver perso la donna della sua vita o, quanto meno, quella che aveva imparato a sopportarlo così bene. Almeno così sembrava a lui.
Finalmente, nel silenzio del parcheggio, rotto solo dal canto di qualche uccello notturno, Michele si addormenta.
Si risveglia alle sette del mattino. Si stiracchia come può, e si mette a sedere, prendendo la solita testata contro la cabina. Anni che guida e dorme su quel camion, e ancora non ha preso bene le misure!
Bestemmiando in barese scende dal camion e rimane un attimo interdetto a guardarsi intorno: è rimasto solo lui nel grande parcheggio di quell’autogrill nelle campagne toscane.
Devo pisciare. Con andatura ancora irregolare, grattandosi la testa si avvia verso il bordo del parcheggio, e si infila dietro un albero. Con un sospiro di sollievo, si sistema i jeans e fa per andarsene, quando qualcosa attira la sua attenzione: in fondo alla fila di acacie, gli pare di vedere due gambe stese sul prato.
Inquieto, sentendosi piombare improvvisamente in una puntata di Quarto grado, Michele si avvia lentamente verso la figura che intravvede tra i cespugli.
Facendo un bel respiro, si allunga al di sopra degli arbusti che coprono la visuale, e vede un ragazzo rannicchiato a terra.
Subito Michele si china vicino a lui per vedere se è vivo o… no, è vivo, respira. Anche Michele riprende a respirare: ha temuto il peggio.
“Hey ragazzo, cosa fai qui nel prato? Ci saranno tre gradi, vuoi morire assiderato?”.
Il giovanotto apre gli occhi e lo guarda spiritato: un ciuffo di capelli arruffati sulla testa, il volto pallido con fonde occhiaie che sottolineano due grandi occhi, in questo momento assolutamente inespressivi.
“Parla, stai bene? Chi ti ha portato qui? Dimmi se devo chiamare la polizia” insiste Michele, prendendolo per le spalle.
Finalmente negli occhi pesti del ragazzo brilla un lampo di paura: “No, no niente polizia” mormora con un filo di voce; fa per alzarsi, ma le gambe non lo reggono. Michele è pronto a prenderlo al volo, per evitare che cada a terra.
“Ce la fai? Ti tengo io, ce la fai a camminare?” Michele lo tiene stretto alla vita e il ragazzo si stabilizza.
“Si, aspetta un attimo; ho le gambe intorpidite” risponde a fatica.
“E non solo le gambe mi sembra! Il cervello non mi sembra messo meglio!” Michele pensa che il giovane sia sotto l’effetto di qualche sostanza.
“Oh, che cazzo vuoi tu dalla mia vita? Non ti ho detto io di darmi una mano” ribatte lui con veemenza, resa inefficace dalla voce tremante.
Michele all’improvviso, lo lascia andare e lui barcolla un attimo per poi cadere miseramente a terra.
“Stronzo” sibila sedendosi.
“Sì, sì sono uno stronzo infatti; tu che sei così furbo invece, arrangiati un po’ come credi” e Michele si allontana verso l’autogrill.
Fatto qualche passo però Michele si volta a guardare. Il ragazzo è ancora a terra, seduto con le gambe raccolte e la schiena contro la staccionata. Michele ha il cuore tenero in fondo e prova una gran pena per lo sbandatello.
Sbuffando, torna sui suoi passi si ferma davanti a lui e gli tende la mano.
Il ragazzo lo guarda torvo, poi allunga la mano a sua volta e si rialza.
“Vieni che ci beviamo qualcosa di caldo, credo che serva a tutti e due” e Michele passa un braccio attorno alle spalle del biondino, che non dice più niente e si avvia al suo fianco.
L’autogrill a quell’ora è quasi vuoto. Il ragazzo siede pesantemente su una panca, e accetta il cappuccino e la brioche che Michele gli offre.
“Io sono Michele” dice tendendogli la mano. L’altro a sua volta allunga la sua, che scompare quasi fra quella grande di Michele. “Diego”.
“Com’è che hai messo tutti quegli anellini sulla faccia?” chiede Michele sedendosi di fronte a lui. Diego infatti sfoggia dei cerchietti al labbro, al naso e sulla punta dell’orecchio sinistro.
“Che domanda del cazzo. Io potrei chiederti perché ti porti in giro quella testa enorme di capelli ricci” Diego è decisamente indisponente.
Michele lo guarda indeciso se tirargli un ceffone o piantarlo lì con la colazione da pagare, ma decide di lasciar perdere. E’ un ragazzino in fondo, avrà poco più di vent’anni.
Non che io sia molto più vecchio, pensa Michele guardandolo.
Diego si avventa sulla brioche come se non mangiasse da una settimana.
“Hai del cioccolato sul naso” fa Michele, togliendoglielo con un dito.
Diego lo guarda, e gli scappa un sorriso. “Tu hai mezza bustina di zucchero sulla barba se è per quello” ridacchia. Una risatina sgraziata ma simpatica. A Michele dà l’impressione che non rida da un po’. E dopo uno sbuffo, e cercando di pulirsi la barba alla meglio col tovagliolo, scoppia a ridere pure lui.
“Grazie comunque per la colazione, Michele detto il ricciolone”.
“Ah, ma sai essere un bambino educato a volte, anche se di norma, scommetto che sei terribilmente insolente” ribatte Michele, guardandolo severamente.
Diego arrossisce e non commenta.  “Allora, me lo dici come sei finito qui? Cosa pensi di fare adesso?” chiede Michele.
Diego guarda dalla vetrata dell’autogrill il traffico che si è fatto più intenso. Poi torna a guardare Michele. “Non lo so... ” e si stringe fra le braccia. Venuta meno l’arroganza, Diego sembra solo un ragazzino indifeso.
“Senti, io devo ripartire, non posso perdere troppo tempo. Facciamo un patto. Io ti do un passaggio, e strada facendo, mi spieghi cosa ti è successo. Va?”
“Io non devo spiegare niente a nessuno, tanto meno a te” ribatte Diego, con un rigurgito di insolenza.
Michele alza gli occhi al cielo, poi guarda Diego: “Avrei una mezza idea di sculacciarti, per farti passare quella boria. Comunque è l’ultima occasione, o sali sulla mia ortica o tra cinque minuti ti spedisco qui quei tre poliziotti che sono appena arrivati nel parcheggio?”.
Diego guarda dalla vetrata la pantera della polizia e scatta in piedi con una forza che non pensava di avere, e si avvicina a Michele: “Va bene, va bene, vengo con te. Però mi spieghi cosa è questa cazzo di ortica, ok?”. Michele nasconde il sorrisetto dietro la mano.
“L’ortica è il mio tir. L’ho rinominato così e forse un giorno capirai perché, ma ne dubito. Andiamo” Sorridendo bieco, Michele lo prende sottobraccio, e lo guida all’uscita. “Hai ancora fame?” chiede.
Diego lo guarda e fa il secondo sorriso della giornata: “Un po’, sì, ma non importa, andiamo”.
“Sei più simpatico quando sorridi. Aspetta” Michele, dopo aver fatto la fila alla cassa per pagare anche due panini e del cioccolato, finalmente si avvia verso l’uscita con Diego al suo fianco.

Diego si guarda insistentemente attorno, dentro la cabina del tir che Michele ha denominato l’ortica da tempo immemore. Da quando certi affari di famiglia sono andati a mare e lui si è rimboccato le maniche, e ha preso la patente C e via, in giro con l’ortica. Perché l’ortica prude ma ci devi stare. È il suo pane. “Ti piace guidare?” domanda Diego sgranocchiando la sua cioccolata. Michele gli lancia un’occhiataccia mentre pensa che ben presto si sporcherà fino agli occhi. “No, lo detesto!”
“Potevi sceglierti un altro mestiere allora”
“Non sempre è possibile scegliere” poi lo squadra torvo, non si era accorto che di profilo, esibisce una bella rasatura sopra l’orecchio. Ha mezza testa rasata e l’altra mezza super capelluta, compreso il ciuffo davanti agli occhi. “Tu invece hai scelto di essere un punk che si sveglia in mezzo al parco di un autogrill e non si ricorda nemmeno come ci è arrivato?”
“Me lo ricordo eccome. Non sono un punk... non più” tira su col naso distrattamente e, dopo aver sistemato l’involucro attorno alla barretta, domanda: “Dove stiamo andando?” s’informa guardandolo con gli occhi ora belli sgranati e decisamente più svegli rispetto a quando Michele lo ha raccolto.
“Tu dove vorresti andare?”
“Io sto a Torino, ma davvero non so come sono arrivato a Figline Val d’Arno”
“Ecco, vedi che sei un cazzaro? Poco fa hai detto di sì”
“Va bene, sono un cazzaro, ora mi dici dove stiamo andando?”
Michele oscilla la testa mentre controlla il navigatore. “La prossima tappa è Dresda. Ma forse a te non interessa sconfinare no?” dopo un lungo sospiro continua: “Posso fermarmi a Bologna, ti prendi un treno e te ne torni a casa. E se vuoi un consiglio fallo e fatti pure un bagno”
“A casa non mi aspetta nessuno...” fa Diego laconicamente guardando ora fuori dal finestrino. Michele si domanda se gli stia proponendo di restare con lui fino in Germania. Ma forse ha capito male. La cosa, se ci pensa proprio bene ma bene, bene, non gli dispiace. Lui è un lupo solitario, raramente carica autostoppisti, anche perché è contro le regole, e lui comunque le regole è solito rispettarle e le fa rispettare anche agli altri, soprattutto quando si tratta di salvaguardare la vita della gente. Dormire sempre regolare, ad esempio, è quello che si raccomanda sempre ai colleghi del sindacato. Perché prima o poi se  non si dorme abbastanza, si ammazza qualche famigliola, non c’è niente da fare. “Sì, puoi restare ma hai un documento. Cioè la carta d’identità che l’hai? Non voglio avere problemi per colpa tua”
“Michele sto provando a schiacciare un pisolino, mi molli?” Si agita sul sedile cercando la posizione migliore: “Ce l’ho la fottuta carta d’identità e sì, va bene, andiamo a Dresda, non ci sono mai stato”
“Non ti sei perso niente. Anche perché io non vado a fare turismo ma a scaricare tre tonnellate di pelati destinati alla filiera dei supermercati. Non è proprio il massimo del divertimento, non quello che conosci tu quanto meno” Michele non lo dice ma ha quasi chiaro cosa sia successo a Diego. “Sei stato in una di quelle feste, come si chiamano: a sì, rave party no? Ti sei fatto e hai perso l’orientamento. Ho ragione?” Ma Diego non gli risponde, si è appisolato davvero. Dorme appoggiato allo sportello, la guancia sul giacchetto usato a mo di cuscino e la testa infilata dentro il cappuccio della felpa. Le labbra appena schiuse. “Va bene dormi, che razza di compagnia che mi fai... fossi almeno una bella figliola!” Sogghigna guardando davanti a sé. La strada è ancora tanta, e lunga, e monotona.



mercoledì 21 novembre 2012

Soli nel mezzo del mondo, Epilogo




Titolo: Soli nel mezzo del mondo,
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Storico/Romantico/Introspettivo  
Rating: PG, slash,
Disclaimer: come sempre è tutto frutto di fantasia. I personaggi sono originali, abbiamo preso in prestito i nomi per ispirazione artistica. Il titolo prende spunto da: Quello che conta, di Luigi Tenco

Un grazie di cuore, anche da parte di Anna, a tutti quelli che hanno letto questa storia



Epilogo


Il furgone viaggia spedito per la strada sterrata già da un po’. La segnaletica indica che manda ancora davvero poco.
Diego al posto di guida osserva Michele stravaccato e mezzo dormiente sul sedile del passeggero. I piedi sul cruscotto, il ginocchio infortunato piegato da una parte e lo sguardo è rivolto verso il finestrino. Come sottofondo musicale Bruce Springsteen in Streets of Philadelphia che non è proprio Bob Dylan o Frank Zappa, o altri che piacciono a lui, ma è la hit del momento, soprattutto dopo che Tom Hanks ha vinto l’oscar come migliore attore protagonista, interpretando un malato terminale d’Aids gay. Un film che loro hanno evitato. Evitano il cinema già da un po’ di anni. Hanno tenuto il tempo occupato con altro... ma la canzone è bella, almeno secondo i canoni romantici di Diego.
“Eccoci arrivati finalmente” fa Michele scendendo dal furgone VW e sgranchendosi la schiena.
“Vent’anni e duemila chilometri dopo” Diego scende a sua volta sbattendo la portiera, e si avvicina a Michele, cominciando a massaggiargli le spalle. Questi lo prende tra le braccia e poi lo guarda mentre pensa che è sempre bello. È sempre uguale a quando lo ha conosciuto, anche se qualcosa di diverso c’è e forse pure più di qualcosa. “Mmm, Diego sei fantastico” fa accarezzandogli le labbra, dove c’è il primo dei cerchietti che si è messo durante il suo periodo punk, alla fine degli anni settanta.
“Coraggio vecchietto” Diego si appoggia alla schiena di Michele abbracciandolo e mettendosi sulle punte gli ruba un bacio sulla nuca.
Michele si scioglie dall’abbraccio e si gira verso Diego: “Dove sarebbe il vecchietto?” gli fa imprigionandolo in un abbraccio e baciandolo sulla fronte.
Diego lo guarda con amore, come fosse il primo appuntamento.
“Su coraggio, andiamo a scaricare i bagagli; dobbiamo montare la tenda e preparare il campo” Michele spinge Diego davanti a sé, verso il furgone.
“E’ ancora bello questo furgone” Diego guarda il veicolo azzurro disseminato di simboli della pace, stelle e con una grande luna dipinta sulla capote: “Abbiamo dovuto aspettare che anche Pete andasse al college per comprarlo e poi iniziare a viaggiare per l’Australia in lungo e in largo”.
“Da perfetti figli dei fiori” ride Michele, caricandosi in spalla la tenda. “Dai, prendi gli zaini e vieni a darmi una mano”.
Nel giro di un’ora, la tenda è montata e davanti a questa una catasta di legna è pronta per essere accesa: anche se il sole è ancora abbastanza alto, la temperatura presto scenderà vicino allo zero. Con non poca difficoltà, Michele vi si siede davanti, e subito Diego si corica con la testa appoggiata alle sue gambe, come è solito fare. 
“Certo qui siamo davvero soli nel mezzo del mondo vero Michi?”. Michele gli sorride, mentre guarda il Monolito davanti a loro: non si può toccare, per gli aborigeni è sacro, ma a loro basta guardarlo. Si dice sia una parte di Luna caduta sulla terra. Ci sono stati tanti anni prima, durante una delle loro fughe, e dopo averlo detto di tornarci un migliaio di volte, lo hanno fatto davvero. A Diego la luna, soprattutto quando è piena, fa pensare a loro da sempre.
Dopo un sospiro, come se prendesse fiato prima di parlare, fa: “Ne è passato di tempo dal nostro primo incontro sotto la luna, vero? Non riuscivamo proprio a stare lontani” sorride tracciando con il dito un disegno tra quella specie di terra che sembra sabbia. “Nonostante sapessimo che dovevamo stare attenti, io con lo zio e la mamma, tu con Pete e John, ogni momento era buono per rubarci un bacio”.
“Quando non eravamo alla nostra laguna, ci nascondevamo nel granaio o nella mia soffitta, e lì non erano solo baci” ride Michele.
“No, lì mi davi lezioni d’amore. Poi finalmente sono diventato maggiorenne, e abbiamo potuto vivere insieme senza problemi”
“Sì, senza problemi. Ma tuo zio e i tuoi cugini che volevano uccidermi, dove li metti?” Michele sbianca un po’ al ricordo di quella sera. Impulsivo com’era, la sera del suo ventunesimo compleanno Diego aveva già i bagagli pronti per trasferirsi da Michele. Sapevano tutti in paese che erano unitissimi ma nessuno sospettava che lo fossero così tanto! Michele continua a ricordare: “Prima arrivasti tu con il tuo piccolo trasloco a seguito. Regali di compleanno e gatto compreso. Dopo poco arrivò il povero Augusto, pace all’anima sua, con quei fusti dei suoi figli. Ricordo che pensai: ora mi ammazzano! Hanno capito che mi faccio Diego da quando era un ragazzino” Diego ride: “Sì ma tu da bravo oratore, fosti molto convincete. Alla fine ci è mancato tanto così che ti abbracciassero e ti dessero il benvenuto in famiglia!”
“Non penso mi abbiano mai accettato sul serio. Per tuo zio sono sempre quello che ha fatto di suo nipote un pervertito e per i tuoi cugini...” fa una smorfia.
“Chi se ne frega Michele! Hanno fatto la loro vita a Melbourne e noi abbiamo avuto la nostra qui e ovunque. Degli altri non ce ne importava niente” dopo un attimo di silenzio ricomincia a parlare: “Almeno John e Pete accettarono da subito la situazione, anzi, erano contenti come noi. Quando scoprì che sarei venuto a stare da voi, Pete iniziò a saltare come un canguro; sembrava impazzito di gioia, ricordi?”.
“Sì che lo ricordo, e bene! Diavolo, hai sempre avuto un ascendente suoi miei ragazzi. Ti adorano e ti hanno sempre adorato, facevano tutto quello che facevi tu. Come quando ti sei fatto crescere la cresta e hai sparso un po’ di cerchietti la tua bella faccia! Pete ti ha subito voluto imitare, però lui la cresta se la fece davvero bella! Rossa! John preferì tatuarsi”
“Tu invece niente creste né tatuaggi… fedele alla linea! Sei sempre rimasto un figlio dei fiori... ”.
“Bisogna solo seguire il proprio istinto, senza imitare nessuno. Qualunque cosa, in qualunque momento, in qualunque posto, senza nessuna ragione”.
“Il tuo motto preferito!”.
“È il grande Zappa questo!”
“Non ti piaceva molto il mio cerchietto all’inizio, vero?” fa Diego, toccandosi il piercing sul labbro.
“Diciamo che in certe situazioni mi sembrò fastidioso!” risponde Michele con un sorriso bieco. “Ma in seguito l’ho rivalutato!” Guarda Diego negli occhi, quei grandi occhi nocciola che lo hanno fatto innamorare, gli passa il pollice sulle labbra, indugiando sull’anellino. Diego gli bacia le dita con dolcezza. “Fa parte del tuo essere anche questo, e quindi lo amo, perché amo te” sussurra Michele continuando ad accarezzarlo. “Caro il mio Dorian… hai davvero fatto un patto col diavolo tu. Ti dissi che saresti rimasto un ragazzo, anche se i capelli sarebbero ingrigiti, anche se le rughe avrebbero segnato i tuoi occhi. Sono passati vent’anni da allora, e diavolo tu sei rimasto un ragazzo sul serio. Il tempo non ti ha toccato. Sei rimasto il mio ragazzo... ”.
“Grazie amore, è quello che voglio essere per sempre...” Una lacrima scende dagli occhi di Diego. “Anche questa tua cavolo di emotività, nemmeno quella è cambiata in vent’anni, anche se ti sei indurito parecchio rispetto a quando arrivasti da Torino con tua madre in quella che tu chiamavi landa desolata”
“Mi trovi indurito?” Diego se ne dispiace, ma Michele lo conforta prendendogli le guance tra i palmi: “Sì ma poco, sei rimasto sempre così dolce. Il mio ragazzo emotivo e tenero... ” si china a baciarlo anche se la schiena scricchiola un po’.
“A volte non ci speravo che saresti rimasto sempre con me Michele. Temevo che ti saresti stufato... ”
“E invece eccoci qui, dopo vent’anni, che ci amiamo e ci desideriamo esattamente come quella volta nella radura, o sotto l’eucalipto, quando ti ho dato il tuo primo bacio. Te lo ricordi ancora quando ti davo lezioni di rugby?”
“E come potrei dimenticarmi? Mi sono rotto pure due costole per giocare!”
“E io allora? C’ho rimesso un ginocchio! Quante altre operazioni dovrò farci!” Si lagna. “A proposito di acciacchi, tirati un po’ su, non ci arrivo più a baciarti così, sono vecchio io, ricordi?” sdrammatizza Michele. Diego si mette a sedere, e dopo essersi sorrisi un po’ e scambiati solo baci a fior di labbra, la passione incalza e si baciano appassionati, mentre il tramonto alle loro spalle, sta già infuocando il deserto.
“Guarda Diego, un’altra luna tutta per noi”. Il Monolito illuminato dal sole che tramontava è rosso fuoco, e sembrava emanare una luce propria.
Diego e Michele rimangono così, abbracciati in mezzo al deserto, illuminati dalla gran luce, a loro volta simbolo del vero amore.

martedì 20 novembre 2012

Soli nel mezzo del mondo, Capitolo 8





Titolo: Soli nel mezzo del mondo,
Autori: Annina e Giusipoo
Pairing: Diego Perrone/Michele Salvemini
Genere: Storico/Romantico/Introspettivo  
Rating:slash 
WARNING: Rigorosamente NC 17 per scene di sesso esplicite 



Capitolo 8


Anche Michele fu felice di vedere il ragazzo rimesso. E Diego ce la mise davvero tutta per dimostrare al suo Mister che stava bene, anche se spesso doveva fermarsi perché gli girava la testa. Non aveva dormito e le gambe ogni tanto sembravano cedere. A metà della partitella Michele lo prese da una parte: “Ora vai a casa e dormi, ok?”
“Col cazzo, no, voglio aiutarti col foraggio, come fanno John e Pete”
“Ma tu stai male! Sei stato male e non hai dormito, proprio oggi hai deciso di aiutarmi con le bestie!” Tossicchiò pensando: come è testardo! Capì che non l’avrebbe spuntata e, difatti, terminati gli allenamenti, insieme ai propri figli si portò anche Diego e si occuparono degli animali fino a quando il sole non morì tra le nuvole bianche e gli uccelli della sera.
“Stasera tocca a John cucinare!” gridò Pete saltellando. L’altro disse qualche parolaccia in inglese e si allontanò verso casa. “Vai pure tu Pete, apparecchia, arrivo tra un attimo” voleva rimanere solo con Diego e ci riuscì.
“Ci vediamo dopo?” Diego gli si avvicinò un po’ troppo. Come sottofondo gli struzzi che mangiavano e ogni tanto si scontravano tra loro. “Sei pazzo ragazzo. NO! Ti fai tutta una dormita, otto ore di fila almeno” questa volta Diego capì che non l’avrebbe spuntata ma prima di lasciarlo gli rubò un bacio con la lingua. Unici spettatori gli struzzi.

Diego davvero dormì tutto un tiro quella notte ma la seguente, dopo aver passato il giorno in fibrillazione, alle undici riprese la strada per la laguna. Trovò Michele accampato. Questa volta si era organizzato per bene: oltre la copertina portava il vino, biscotti, l’occorrente per farsi una canna e uno strano e misterioso involucro di alluminio. Non persero tempo in discorsi, presero subito a baciarsi, a spogliarsi, a trovare il posto migliore, questa volta lontani dall’acqua.
Tra un bacio e l’altro, Michele disse: “Sei un ragazzino ma lo capisci che se tua madre o tuo zio lo scoprono...”
“Cazzo, sì, ma non lo scoprirà nessuno” altri baci e le mani dappertutto.
“Scoppierebbe l’inferno. Di guai ne ho passati tanti ma questo... e tu non mi rovinerai la vita, vero piccolo Elvis?” ogni tanto lo chiamava così per via del ciuffo ribelle che gli copriva sempre un occhio. “Non ti rovinerò la vita Michele, voglio solo rovinarti di baci”.
“Ci riesci benissimo!” Michele sorrise e lo trascinò a terra. Restarono ancora un po’ a baciarsi e toccarsi, nudi l’uno sopra l’altro (Diego sopra) quando poi Michele lo fece sdraiare di pancia. “Questa volta starò più attento, vedrai. Poi ho questo” e mostrò l’involucro di alluminio. Diego lo vide spargersi il sesso con una consistenza burrosa, che aveva già visto usare alla madre per i dolci. “Che roba è?” domandò puntellandosi sui gomiti.
“Strutto. Ci sarà meno attrito così” e dopo averne sparso un poco dentro di lui, gli baciò la nuca e lo profanò.
Fu per entrambi bellissimo, di una bellezza straziante. Dopo averlo fatto venire, Michele lo appoggiò su di sé. Gli prese il volto tra le mani: “Sei bellissimo Diego, mi farai perdere la testa!” “Io l’ho persa per te Michele!” leccò e succhiò la barba fino a trovare la bocca già schiusa.
Si amarono tanto quella seconda notte, un po’ grazie allo strutto, un po’ per la situazione incredibilmente erotica. Sulla riva, nell’acqua, in piedi addosso alla roccia, con la cascata che si infrangeva sui capelli, né dolce né violenta. Si piacevano, si erano piaciuti subito, nonostante la diffidenza iniziale e ora poteva consumare quel desiderio che per pochi giorni, ma per entrambi fin troppi, avevano nascosto nell’animo. Si piacevano e ora si amavano. E quella piccola radura lagunosa, arrossì di fronte a quello che vide, per la prima volta profanata dall’amore.
Rimasero a parlare un po’, prima di tornare a casa. Tante domande affollavano la mente del ragazzo, tanta confusione. “Ma Michele è normale che due uomini facciano queste cose? Io sapevo di no...” bisbigliò con la testa appoggiata al suo petto.
“Sono solo i bigotti che lo pensano. I cattolici benpensanti. Che criticano la sodomia e poi di notte, al riparo da occhi indiscreti, fottono le loro mogli santissime. Quello che facciamo noi è bello, normale e naturale. Non c’è davvero niente di sbagliato. Fidati”
“Ma tu come le sai queste cose?”
“Perché sono più grande di te e ho vissuto. L’amore, il piacere, prescindono dal sesso, anche gli animali fanno così. Ho letto che in Africa c’è una specie di scimmiette che vive come in una comunità hippy. In piena condivisione, senza gerarchie tradizionali, in perfetta armonia tra i sessi e uso creativo e spregiudicato della sessualità. E pare che funzioni, dato che a differenza degli altri scimpanzé, o, come noi essere umani, non conoscono la violenza, l’omicidio, la guerra”
“Cosa è una comunità hippy Michele?” Diego si vergognò della sua ignoranza ma si era perso e voleva sapere. “Il mio piccolino non conosce i figli dei fiori?” Ridacchiò accarezzando la prima lanugine del mento: “Sì gli hippy sono una comunità un po’ come la nostra. Solo che loro non si limitano soltanto a condividere le risorse come facciamo noi. Sono liberi, sono felici, per loro non conta il denaro, non contano gli oggetti e l’arricchimento, e non sono repressi sessualmente” dopo essersi acceso la parte restante del cannone fatto poco prima, Michele continuò: “Negli Stati Uniti sono presenti un sacco di comunità hippy, ma per la società sono solo dei depravati che pensano ad iniettarsi droga e fare sesso con qualsiasi cosa respiri. Ne conobbi anche australiane. Due ragazze che viaggiavano per il paese. Sono state da me un po’ di tempo” fece un sorrisetto malizioso. “Loro si amavano, ed erano due donne. Vedi che l’omosessualità è una cosa normale Diego? Però non disdegnavano anche fare sesso con altri”.
“E tu ovviamente lo hai fatto con loro...” Stizzito Diego si rizzò a sedere. Era geloso e infastidito, le pupille strette, due spilli, come quando ci si trova per troppo tempo sotto il fulgido sole. “Certo, perché no! Mi andava da tempo di guardare due donne insieme e di fare sesso con più persone. Come mi andava di farmi un ragazzo. Era da un po’ che ci pensavo” gli baciò la gola ma subito lo sentì rigido. Ora Diego non era solo geloso ma triste. “Dunque lo fai con me solo perché sono un ragazzo? Quando sarò un uomo non ti piacerò più....” gli occhi dell’adolescente erano già pieni di lacrime. Michele rise: “Non dire eresie!” Lo abbracciò rincuorandolo. “No, piccolo mio. Tu resterai sempre un ragazzo. Il mio ragazzo. Anche tra vent’anni. Anche quando le tue basette saranno ingrigite e attorno agli occhi avrai le rughe, sarai sempre bello come ora. Sarai sempre il mio ragazzo...”
“Me lo giuri Michele? Mi giuri che sarà sempre così?”
“Sì, certo che te lo giuro” ma poi si fece serio: “Però dobbiamo stare attenti, ti ripeto. Tu sei minorenne, io sono un adulto, ho due ragazzi di cui occuparmi”
“Lo so Michi, mi sparerei piuttosto di saperti in prigione per colpa mia” a quella Diego ripensò a Tenco, a quanto era stato vicino al proposito di farla finita prima di conoscere lui. “Io volevo uccidermi Michi” disse all’improvviso. L’altro lo guardò serio. “Volevo morire perché non avevo niente per cui valesse la pena chiudere le palpebre la sera e riaprirle la mattina. Volevo togliermi da questa valle di lacrime prima di soffrire come mia madre. Ma ora no, ora tutto ha un senso” Michele si commosse, e abbracciandolo stretto gli sussurrò: “Ti amo Diego. Ti amo piccolo mio! Io vivo per te e tu vivi per me” e l’altro, sorridendo felice, concluse la frase: “Come se fossimo soli nel mezzo del mondo”. “E noi lo siamo, ma tu non farai la fine di Tenco” gli baciò la fronte e Diego masticò gioia pura. Il suo Michele riusciva persino a leggergli nel pensiero.
Erano fatti davvero l’uno per l’altro.

domenica 18 novembre 2012

Un giro di giostra



Titolo: Un giro di giostra
Genere: AU
Autore: Annina
Parring: Diego/Caparezza
NC 17 per scene di sesso
Disclaimer: è tutto frutto di fantasia, come sempre e niente è fatto a scopo di lucro.


Come tutti gli anni in ottobre le giostre rallegravano le giornate della piccola cittadina sulle rive del Po per tutta la durata della festa d’autunno.
Erano poche, non un vero Luna Park, ma i bambini e i ragazzi comunque aspettavano sempre con ansia il loro arrivo.  Arrivavano numerosi anche dai paesi vicini, e per qualche giorno sembrava di essere ancora in vacanza, nonostante la scuola fosse già iniziata da tempo.
Seduto sulla panchina davanti alla bancarella dello zucchero filato, Diego guardava il viavai dei ragazzi che si portavano da un’attrazione all’altra.  Le ragazze si tenevano sempre per mano, ridendo tra loro e accogliendo le amiche che arrivavano con gridolini e baci fruttati, i ragazzi cercavano di farsi notare colpendo i punching-ball col massimo della forza o cercando di vincere al tiro a segno qualche peluches da regalare.
Da quando quattro anni prima era morta sua madre, le giostre erano diventate un appuntamento fisso e solitario per Diego: l’ultima sera l’avevano passata lì, su quella panchina a parlare mangiando zucchero filato.
La mamma  era sempre così allegra e piena di vita: tutti e due amavano la stessa musica e gli stessi artisti, e durante i viaggi in macchina cantavano sempre a squarciagola col sottofondo della radio.
Purtroppo abitavano in un grande paese ipocrita e bigotto, dove la maggior parte delle persone non avevano simpatia per quella donna, che vestiva in modo eccentrico, portava grandi collane e orecchini e cantava sempre, né ne avevano per il figlio, decisamente anticonformista a sua volta. Non andavano nemmeno in chiesa perbacco!
Quando Diego compì 17 anni la mamma si ammalò: di una brutta malattia dissero (ma ce ne sono di belle?). Lei cercò fino alla fine di non far pesare a nessuno e tanto meno al figlio questa situazione. Il primo giorno della festa di ottobre di quattro anni prima, pur stando male, volle a tutti i costi “farsi bella”, così disse, e andare con Diego alla festa e poi alle giostre. Nonostante tutto fu una bella serata; Diego e la mamma si sedettero sulla panchina e parlarono fitto per tutto il tempo. Fu quella sera che lui confidò a sua mamma il suo cruccio segreto, e che la mamma sorridendo gli disse “lo so da tanto tempo angelo mio, ma dovevi essere tu a dirmelo”.
“Mamma, io non ce la faccio però a viverla bene questa cosa” sospirò Diego.
“Diego,  non te lo dico perché sono tua madre, ma perché è così: sei bello e hai una bella anima, vedrai che qualcuno prima poi si accorgerà  che sei una persona meravigliosa e ti amerà per come sei; non esistono  gay o etero, esistono solo persone che amano, che si amano. Resisti piccolino, vedrai che arriverà anche per te il giorno in cui troverai qualcuno che ti renderà felice”.
La mamma guardò quel suo fragile figliolo solitario, piccolo e un po’ troppo magro, con quel gran ciuffo sulla testa e tutti quei piercing disseminati sul bel viso, “il mio bel figliolo punk” rise. Diego rise a sua volta.
Si alzarono e presero la strada di casa, dandosi la buonanotte davanti alle rispettive camere.
Il giorno dopo, la mamma non si risvegliò.
Diego si riscosse, guardandosi intorno. Vide arrivare un gruppo, si accorse che erano i suoi vecchi compagni delle medie. Lui non frequentava nessuno al paese, e nessuno lo cercava.
“Diego, sempre l’anima della festa tu, vero?” urlarono al suo indirizzo, ridendo sguaiati e prendendolo in giro “ frocio di merda!”.
Diego non rispose, non li guardò nemmeno. Si appoggiò meglio alla panchina  e raccolse le gambe stringendole tra la braccia.
Improvvisamente davanti ai suoi occhi si materializzò un bastoncino di zucchero filato. Seguendo con gli occhi il braccio che lo teneva,  vide il ragazzo che teneva la piccola giostra dei bambini, lì da parte.
“Ciao. Visto che non ti decidi a comprartelo tu, te l’ho  preso io”. Il ragazzo parlava con uno spiccato accento pugliese. “Posso sedermi qui con te o preferisci stare da solo come sempre?”.
Diego non sapeva cosa dire. Voleva stare da solo a pensare, ma guardandolo in piedi lì davanti, con un puffo sulla felpa e lo zucchero filato, gli scappò un sorriso. “Puoi sederti credo”.
“Credi?” sorrise l’altro di rimando. “No, sono sicuro” Diego lo osservò: anche da seduto lo sovrastava. Aveva un viso non bello, ma sicuramente intrigante: bocca circondata dal pizzetto, occhi neri e profondi dietro gli occhiali dalla montatura nera, e una gran testa di capelli ricci e lunghi, trattenuti da una fascetta rossa.
“Allora? Hai voglia di parlare un po’ con me? Vedo che i tuoi amici non sono proprio dei simpaticoni” accennando al gruppo che si stava allontanando verso l’autopista.
“Non sono miei amici comunque. Non ho amici qui in paese. Io sono Diego” tendendogli la mano che l’altro afferrò con piglio deciso “Michele, io sono Michele”.
Si sorrisero e per quelle strane alchimie che a volte si creano, sentirono entrambi che sarebbe stato interessante conoscersi.
“Dunque, vogliamo attaccare questo zucchero, prima che si sciolga del tutto sulla mia mano?” chiese Michele mentre le prime gocce cominciavano già a cadere sulle sue dita.
Sorridendo Diego annuì. Michele staccò un grosso pezzo di zucchero passandolo a Diego, e poi ne staccò per sé. In breve finirono tutto il bastoncino.
“Vuoi leccare anche tu?” propose ridendo Michele, mentre si succhiava le dita intrise di zucchero.
Diego si girò a guardarlo:  vide che anche tra la barba brillavano  piccoli cristalli di zucchero. Al pensiero di leccarglieli via gli si strinse lo stomaco: arrossì violentemente.
“Qualcosa non va?” chiese Michele, vedendo quella reazione.
“No, no, tutto a posto. Chi ti sta sostituendo alla biglietteria?”.
“Nessuno, non vedi che la giostra è ferma? A quest’ora tanto i bambini sono andati a casa. E tu che fai?”
“Non sono proprio un bambino no?” rise Diego.
“Ma proprio per poco, quanti anni? Diciotto, diciannove al massimo. Vai ancora a scuola?” chiese Michele.
“Ne ho 23. Vado all’università, all’Accademia”.
“Un artista. Già, si vede in effetti, ne hai l’aria. Mi spieghi come mai tutti gli anni arrivi e  ti siedi sempre su questa panchina, da solo tutte le sere?”.
“E tu come lo sai?”
“Ti ho visto. Negli ultimi anni sei sempre stato  seduto allo stesso modo, sulla stessa panchina, per tutti i giorni in cui sono stato qui. Deve esserci un motivo serio, alla tua età si ha più voglia di divertirsi che di passare dieci giorni a pensare seduto su una panchina tra la musica delle giostre e le risate della gente, no?”.
“Alla mia età. Ma tu non sarai molto più vecchio di me no? Tu come ti diverti?” Diego rimase colpito dal fatto che Michele lo osservava da anni, ma non voleva parlare di sè  e cercò di sviare il discorso.
“Io giro l’Italia con la mia giostra, non è un gran divertimento forse, ma mi va bene così, per ora”.
“La tua ragazza? Non l’ho vista in queste sere…” Diego si morse la lingua, così avrebbe capito che l’aveva osservato a sua volta.
Michele lo guardò con un’espressione indecifrabile, poi rispose “Senti hai mangiato tu? Così a guardarti si direbbe che non mangi da mesi, veramente”.
“No, non ho mangiato niente oggi, tranne lo zucchero”.
“Andiamo a sederci da qualche parte, ci sarà pure un pub, una birreria carina in questa città no? Mangiamo qualcosa e facciamo una chiacchierata. Il posto dove vai di solito”.
“Io non vado da nessuna parte qui; scendo in città quasi tutti i giorni, conosco qualcuno là;  quando torno me ne vado a casa. Non ho nessuno da incontrare o che mi voglia incontrare in paese” rispose Diego senza enfasi.
Michele si alzò e gli tese la mano, tirandolo su dalla panchina “dai vittima, andiamo, dammi una mano a chiudere, che ti porto a cena”.
*****
Complici un paio di birre Diego si arrese e raccontò a Michele il motivo che lo portava a sedersi ogni anno su quella panchina. Michele era veramente interessato a lui, alla sua vita e Diego pensò che probabilmente per la prima volta nella sua vita aveva trovato un amico vero, qualcuno che sapeva ascoltarlo.
“E tu? Ci sei nato nel Luna park?”
“ Ma no! Ci sono entrato quando avevo più o meno la tua età, ora ne ho ventotto. Alla giostrina cercavano un aiutante, io non sapevo bene cosa fare della mia vita, e mi sono buttato. Vivevo a Molfetta io, figurati. Poi tre anni fa, mi misi con la ragazza che avevi visto tu, la figlia della signora del tiro a segno. Ma mi ha piantato da qualche mese, e se n’è andata anche dalle giostre. Ora vive a Londra”.
“Mi spiace, soffri molto?” chiese Diego, fissandolo con quei suoi enormi occhi nocciola.
Michele rimase un attimo incantato a guardare quegli occhi spalancati su di lui “Hai degli occhi stupendi Diego accidenti! No, comunque non ci soffro, ormai era un rapporto finito. Adesso poi sono più impegnato, i gestori si sono ritirati, e mi hanno lasciato solo a condurre il tutto. E’ una vita che mi piace, sono felice. Perché non parti con me? Mi potresti dare una mano”.
Il cuore di Diego mancò un colpo, e di nuovo arrossì fino alle orecchie. Forse si era accorto di piacergli ed ora lo prendeva in giro? “Si certo, come no” rispose.
“Perché no? Cosa ti trattiene qui? Tua madre non c’è più, i compaesani sono degli stronzi… puoi partire quando vuoi” rispose Michele.
 “Perché vuoi che parta con te? Mi conosci solo da un paio d’ore, potrei essere uno stronzo anch’io”.
Michele scoppiò a ridere e lo accarezzò sulla testa: “Beh, certo che potresti essere uno stronzo, e io potrei esserlo molto più di te! Ma chissà perché sono convinto che tu non lo sia. Mi sei simpatico, molto, e mi spiace che ti stia spegnendo in un paese come questo. Non hai niente da perdere, e magari potresti essere felice” .
Essere di nuovo felce… pensò Diego. “Sono stato anche felice sai? Fin verso i sedici anni ero convinto di esserlo almeno”.
Michele lo guardò attento, e si allungò a dargli un bacetto sulla bocca “Andiamo dai, riportami all’ovile” si alzarono, e Diego riportò Michele alle giostre, prima di tornare tristemente a casa.
Quella notte Diego non dormì continuando a pensare a quel bacetto leggero che Michele gli aveva dato. Significava qualcosa? Probabilmente no, era semplicemente un segno di amicizia per lui. Ma Diego si stava innamorando, ed era spaventato dalla potenza del sentimento che sentiva crescere dentro. Si era già infatuato altre volte, certo, ma le sue difese sempre all’erta non gli avevano mai permesso di incominciare una storia con qualcuno.
Già, ventitrè anni e non ho mai nemmeno baciato nessuno, figuriamoci. Se Michele lo sapesse, morirebbe dal ridere. E poi lui mica è gay, aveva una ragazza fino a qualche mese fa. Quel bacio non significa proprio niente per lui, sono solo io il povero stupido che ci sogna sopra”.
Il giorno dopo avrebbe voluto volare da Michele, ma si costrinse ad aspettare la sera.
Quando Michele lo vide arrivare gli fece un gran sorriso, sbracciandosi da dentro la biglietteria. “Vieni Diego, vieni a sederti qui con me”.
Diego, il cuore che scalpitava, entrò nella biglietteria e si sedette sulla panchetta, praticamente appiccicato a Michele, che  finì di dare il resto a una signora e poi si girò a guardarlo. “Ti aspettavo già nel pomeriggio. Hey, le tue occhiaie sono ancora più fonde di ieri amico mio. Sei sicuro di stare bene?”.
Al sentirlo preoccuparsi per lui, un sorriso illuminò il viso stanco di Diego “Sì sto bene, non ho dormito molto stanotte”.
“Sì, si vede. Troppi pensieri per la testa?” Michele abbracciò le spalle di Diego, che si sentì diventare di gelatina. “Mmm, forse sì” ammise sottovoce.
“Coraggio, se ti va di stare qui ancora per un’oretta, poi ci facciamo un giro sulle giostre, va bene?”.
Diego annuì: si sarebbe buttato tranquillamente in Po se Michele glielo avesse chiesto.
Quando anche l’ultimo bambino scese dalla giostra chiusero il botteghino, e si accinsero a fare un giro.
Già nella biglietteria avevano cominciato a chiacchierare di tante cose, ora camminando si affiatavano sempre di più, praticamente non vedevano più niente di quello che c’era intorno. Diego gesticolava e parlava vivacemente, tirando fuori tutto quello che di solito rimaneva solo nei suoi pensieri, non avendo mai trovato qualcuno con cui esternare proprio tutto. Michele lo guardava serio, e interveniva pacatamente, il braccio che continuava a stringere le sue spalle.
Si ritrovarono davanti a una giostra che aveva le sedute coperte. Michele si sentì chiamare dalla biglietteria “Michè, se volete salire, è l’ultimo giro, te lo regalo” gridò la signora bionda all’interno.
Michele guardò Diego, che sorridendo assentì. “Va bene Dora, allora si va”.
Diego e Michele salirono sulla giostra, dove ormai sedevano pochi ragazzi.
La giostra partì e piano piano prese velocità, le capote salirono a coprire i passeggeri. La giostra girava talmente forte che Diego si trovò sbalzato in aria, quasi seduto in braccio a Michele, che lo acchiappò e lo strinse a sé “sei troppo magro ragazzo, la barra di sicurezza non funziona con te!”.
Diego non riusciva nemmeno a muoversi a causa della forza centrifuga, e si abbandonò tra le braccia di Michele, appoggiandosi a lui. Michele sentì che quel ragazzo si stava guadagnato un posto importante nel suo cuore. Alzandogli il mento con la mano, lo guardò negli occhi e teneramente lo baciò prima in fronte, poi sulla bocca.  Diego si sentì morire e tentò debolmente di sottrarsi, ma Michele lo stringeva fermamente, e tenendogli il viso con una mano, si abbassò di nuovo sulla sua bocca. Il bacio si fece più profondo questa volta, e la lingua di Michele saettò ad accarezzare le labbra del compagno, solleticandolo, chiamandolo a rispondere. Pur inesperto, Diego si unì al bacio, ma in quel momento si udì la sirena che accompagnava la fermata della giostra.
Si  staccarono un attimo prima che si riaprissero le capote. Diego tremava, senza sapere dove guardare.
I due scesero come ubriachi “che scoperta Diego mio!” rise Michele guardandolo. Guardandolo a sua volta, Diego gli prese una mano, ma la lasciò subito, guardandosi intorno. Michele si fece serio, lo guardò negli occhi e gli prese entrambe le mani “di cosa hai paura Diego?”. Egli scrollò la testa “è tutto così nuovo per me: non lo so, non so più niente”.
Michele gli disse “Vieni facciamo due passi”, e si incamminarono verso il lungo Po.
Camminarono per un po’ in silenzio, ascoltando il mormorio del grande fiume alla loro destra.
Diego si sedette sulla ringhiera che costeggiava la riva e Michele si appoggiò vicino. “Qual è il problema Diego? Io non capisco, mi sembra che stiamo vivendo un bel momento”.
“Non puoi immaginare cosa significa questo per me, Michele. Non ho mai avuto un sentimento così importante per qualcuno. Non sono nemmeno mai stato con qualcuno…”.
“Me ne sono accorto” ridacchiò Michele.
Diego arrossì e si girò a guardare il fiume.
“Beh, ma non è uno scandalo non aver mai baciato no? A tutto c’è rimedio”  Michele si appoggiò a Diego e gli prese il viso tra le grandi mani. “Diego, tira fuori il problema vero, so che c’è qualcosa di serio che non esce”.
Diego sospirò “Michele, io avevo solo mia madre che mi capiva, nessun’altro ha mai provato anche solo ad ascoltarmi, a passare cinque minuti con me; in questi quattro anni mi sono abituato a stare solo, mi sono obbligato a non aver bisogno di nessun’altro che di me stesso. Ho paura… tu tra pochi giorni te ne andrai, e io non so…”. Michele gli chiuse la bocca con una mano, poi si strinse la sua testa contro il petto “Diego, nessuno può mai sapere come andranno le cose, ma non puoi privarti di qualcosa per paura di perderla, non ha senso. Viviamoci questo momento” e prendendogli il viso tra le mani cominciò a baciarlo teneramente.
Diego cercò di resistere, ma la tenerezza era troppa, circondò il collo di Michele e si lasciò andare tra le sue braccia. Michele gli infilò le mani sotto al maglione e cominciò ad accarezzarlo stringendolo contro di sé.
Rimasero a baciarsi insaziabili, finchè Michele si staccò ridendo “devo respirare un attimo”. Diego sorrise, e si riagganciò al suo collo, tornando a baciarlo.
“Diego, capisco che hai gli arretrati, ma abbiamo tutta la vita davanti! Andiamo? E’ sceso il freddo, senti, hai la schiena gelata”.
“E’ colpa tua, mi sollevi la maglia” disse Diego facendo il broncio.
Michele guardandolo, il viso imbronciato, gli occhioni nocciola spalancati su di lui sentì dentro un grande amore per quel ragazzo che la vita gli aveva catapultato al fianco. Lo abbracciò stretto, e gli sussurrò all’orecchio “dormi con me stanotte? Così ti riscaldo…”.
Diego si sciolse dal suo abbraccio, gli occhi ancora tormentati “non so Michele, magari un’altra volta”.
“Va bene, non preoccuparti, deciderai tu quando”.
Abbracciati si diressero verso il Luna Park. Diego non disse una parola durante il ritorno.
Sono proprio un idiota. Io voglio andare con lui, voglio stare con lui. Non ho più molti giorni a disposizione. Se finirà pazienza, almeno avrò conosciuto l’amore, almeno una volta.  “Senti Michele, ho cambiato idea, voglio venire da te” le parole gli uscirono di getto, prima ancora che potesse pensarle.
Michele non rispose, solo lo baciò sui capelli, si fermarono a prendere lo zucchero filato e mangiando si diressero verso il camper parcheggiato poco lontano.
Diego entrò intimidito ma Michele lo prese per un braccio e gli fece visitare il suo piccolo regno.
Guardandolo, Diego vide che l’amico aveva ancora lo zucchero tra la barba, e gli disse “E’ da ieri che penso di farlo” e si alzò in punta di piedi per lambirgli la bocca con la lingua, leccando via i dolci cristalli che vi erano rimasti attaccati. Michele emise un gran sospiro e lo prese tra le braccia, baciandolo e leccandolo a sua volta, spingendolo contro la parete del camper. Lentamente ma decisamente gli sfilò felpa e maglietta, accarezzandolo e stringendolo con forza, scendendo a baciargli il collo delicato, il petto liscio, quasi glabro.
Sentì il cuore di Diego battere come se volesse scappar fuori. Lo guardò, lo vide ancora più pallido, gli disse “Diego, io non farò niente che tu non voglia fare. Possiamo anche passare la notte abbracciati sul letto a chiacchierare, sarà comunque bellissimo”.
Diego aprì gli occhi e con un filo di voce rispose “Michi, io so che questa sarà la notte più bella della mia vita; ho paura, ma forse mi piace anche questa paura, mi piace tutto, mi piaci tu Michi” e abbassò la cerniera della felpa di Michele, gli tolse la maglia e assaggiò il sapore della sua pelle.
Michele lo prese per mano e lo fece distendere sul letto, si spogliò e lo spogliò. Finalmente senza barriere si abbracciarono, si fusero e si strofinarono, le erezioni vibranti.
“Michele, non credo di resistere, io sto impazzendo” sussurrò Diego, ma Michele in un orecchio con voce alla Bogart e contemporaneamente leccandoglielo “non è che l’inizio baby”. A quell’uscita risero entrambi di gusto, ma guardandosi la tensione tornò a salire.
Michele fece da maestro al compagno inesperto, ma quando Diego si inginocchiò tra le sue gambe non aveva più niente da imparare; Michele cercò di resistere, ma si arrese “Diego, vuoi farmi morire” e prendendogli la testa tra le mani lo attirò a se e si stese sopra di lui.
“Aspetta, non vorrei mai farti troppo male” e prendendo un barattolo di crema fece per cospargersene. “Aspetta, faccio io” Diego prese la crema e la distribuì generosamente sul sesso dell’amico.
Finalmente Michele si appoggiò a Diego e spingendo piano, per non fargli male lo penetrò. Diego strinse le lenzuola tra i pugni, ma non fiatò, tenne il ritmo di Michele, che accarezzandolo, gli baciava la nuca e gli sussurrava qualcosa in un dialetto che il ragazzo non capiva. Danzarono fino ad arrivare al culmine del piacere, quando Diego urlò “Michi, ti amo” e poi cascò sul materasso, sfinito.
Michele se lo prese tra le braccia, e accarezzandogli il viso lo guardò a fondo nei grandi occhi e gli disse “Anch’io ti amo, Diego mio”. Diego si strinse a lui, sorridendo.
“Tu da qui non te ne vai, capito? Io non ti lascio andare via, partirai con me vero?” disse Michele.
“Ti seguirei anche all’inferno Michi”.
“Bene. Domani prendi tutta la roba che ti serve e ti trasferisci qui, e fra qualche giorno partiremo. Ora si va al sud, là c’è ancora caldo, al mattino andremo al mare. Ma stai tremando. Hai così freddo?” Michele raccolse il piumino e lo coprì.
Diego si rannicchiò meglio tra le sue braccia, e rispose “Così sto benissimo”.
“Devi mettere un po’ di carne su quelle ossa, piccolo, per forza hai sempre freddo”.
“Beh, allora che ne dici di scaldarmi ancora un po’?” disse Diego guardandolo e sbattendo le ciglia maliziosamente.
Michele lo guardò ridendo,  lo baciò appassionatamente e disse “Pronto per un altro giro di giostra?”.
 

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